L’esperienza che è maturata alla prova di Wo Long: Fallen Dynasty è stata delle più bizzarre. Da una parte, il Team Ninja che dimostra di essere sviluppatori abili e capaci, ma difettosi nel correggere problemi che si portano dietro da troppo, tanto tempo, dall’altra una cascata di conferme nella sperimentazione del genere dei soulslike.
Tra sbilanciamenti vari, meccaniche di gioco e grammatica ludica da contestualizzare, tutto si può riassumere con un’esperienza sicuramente totalizzante a tutto tondo, ma non priva di grandi difetti che gettano un’ombra cupa, pur non definitiva su quest’opera. Vediamo assieme in questa recensione di Wo Long: Fallen Dynasty i tratti che rendono il titolo difettoso, seppur buono.
Una storia di conquista
Abbandonato il Giappone di Nioh, qui ci spostiamo nella Cina ricca di battaglie e tumultuosa. Nei panni del nostro personaggio siamo chiamati, senza mezzi filtri, a liberare le terre dalle oppressioni di un esercito malvagio, con a capo un uomo in cerca e sfruttamento di tal potente Elisir, con risvolti soprannaturali.
Parte di questo input di trama si ritrova subito nell’esplorazione delle mappe di gioco. Con un sistema simile a quello di Nioh, con la selezione delle missioni da affrontare, al netto del completamento stesso del livello, ci viene richiesto anche di insediare nella mappa diversi stendardi di conquista, un po’ come giocare a Risiko. Lo stendardo ha le solite funzioni di classico Falò di Dark Soulsiana memoria, ma è comunque una soluzione ben contestualizzata, a cui va ad aggiungersi anche la possibilità (non necessaria) di attivare anche altri piccoli stendardi, dove non si potrà mai riposare, ma beneficiando del sempreverde check di salvataggio e aumentare il nostro grado di Morale, ma arrivati già a questo punto, credo sia giusto consegnare a voi lettori le giuste chiavi di lettura.
Le armi del mestiere
Concettualmente, Wo Long non è un souls diverso da tanti altri suoi simili, ma ovviamente qualche piccola novità è ben presente e le andremo subito a elencare così da acclimatare le giuste conclusioni che verranno più avanti.
Il nostro personaggio, come nemici e boss, avrà un grado di Morale, un numero che quasi è riconducibile ad un livello di pericolosità del nemico. Chiaramente il discorso numerico è un feticcio relativo, noi che siamo di livello 2 non ci impedisce di combattere e avere la meglio su un nemico di livello 5, ma è chiaro che ci sarà quel piccolo gap di difficoltà che dovrà essere colmato con la pazienza e con qualche fendente in più.
Il nostro personaggio potrà saltare. Nulla di nuovo, ma l’azione non è quasi mai richiesta in sede di combattimento e generalmente mal amalgamata con tutto il resto. Di contro, il level design alcune volte presenta sezioni platform anch’esse inserite in seconda battuta, quasi a giustificare una scalata tra rocce e simili giusto per raggiungere un drop alla cima, ma comunque la sensazione finale è qualcosa di posticcio, di una mappa con un level design mediamente buono a cui si aggiunge la necessità di avvilupparsi in verticale, ma sempre e solo per necessità di drop e mai per vantaggi tattici o simili.
Il movimento, come la gestione di poteri magici tramite i Cinque Sensi o l’evocazione della Bestia Divina è preso allo stesso modo da Nioh. Servirà il giusto tempo tecnico per prenderci mano, constatare l’equilibrio di queste meccaniche, costruirsi un approccio basilare a quella che potrebbe essere una build di gioco e via così.
Il nostro personaggio potrà effettuare una meccanica per deviare i colpi e qui si apre uno dei grandi problemi di Wo Long: Fallen Dynasty, ovvero l’eccessivo sbilanciamento globale dell’esperienza di gioco.
Un Souls facile o difficile?
Essenzialmente avendo la giusta tempistiche nel deviare un colpo nemico, oltre che a riempire la nostra barra spirito (e quindi infliggere gli importantissimi colpi potenti utili in special modo contro i boss), porteremo il nemico a scoprire più di un fianco libero, riuscendo ad assestare colpi su colpi.
Il problema nasce quando questa meccanica si potrà applicare su ogni nemico, di qualunque natura, boss compresi. Esatto, anche un boss grandissimo e fortissimo, che ci sta caricando con un colpo potente, impregnato di aura rossa, dunque di base imparabile, si può deviare, così da “stunnare” il boss e colpirlo senza sosta.
Questo glorioso sbilanciamento (tra tutti, sempre a nostro favore), rende in parte posticcia tutta l’esperienza di gioco, giacché comprese al massimo tutte le meccaniche, il resto dell’esperienza si potrà diluire, combattimenti compresi, sempre con la stessa tecnica: attesa dell’attacco del nemico, deviazione, colpo critico alle spalle.
Nelle ultime battute di gioco, Wo Long si rialza da questa spiacevole situazione, proponendo un livello di sfida finalmente competitivo, ma quasi si ha la sensazione che i rimedi per correre ai ripari si siano trovati nel facile e furbo aumento della difficoltà dei nemici e nulla più.
Questione di prospettiva
Va detta, in conclusione, anche la cosa più importante: Wo Long fatica a trovare una sua identità proprio perché troppo ancorato e ispirato da Nioh. Si passa oltre la palese ispirazione, di una quasi Amrita, di skin dei nemici riutilizzate e di una grammatica di gioco funzionale e appagante, ma comunque derivativa, ma ciò che non rende giustizia al titolo è la sua mancanza di spina dorsale, di un elemento per cui domani il pubblico, arrivato ai titoli di coda, ancora si ricorderà di Wo Long, preferendo questo a Nioh.
Fare paragoni è sbagliato, ma è anche palese che gli stessi asset riciclati portano all’attenzione e alla memoria di Nioh, in tutto e per tutto. All’operazione complessiva dunque c’è un plauso generale per l’ottimo confezionamento, con un souls appagante, divertente, aperto alla sperimentazione, ma terribilmente pigro, non nascondendo mai la sua mancanza di novità con qualche buon input, ma sempre mal innestato nel resto del gioco, che comunque è solido, forte, consapevole della sua esperienza, a tratti inattaccabile perché essenzialmente funziona, ma credo sia lecito volere e aspettarsi di più.
La recensione in breve
Wo Long Fallen Dynasty è un titolo estremamente solido, appagante e divertente, ma anche molto sbilanciato, derivato e privo di vere novità. A guardarlo da lontano potrebbe essere un clone di Nioh senza spina dorsale, da vicino lo è, ma ne sfrutta anche tutto il sistema ludico e di meccaniche ben riuscite che, indubbiamente, restituisce divertimento pad alla mano.
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Voto GamesEvolution