Solamente dieci anni fa usciva Call of Duty: Black Ops II, probabilmente il miglior titolo della saga mai realizzato. Era un periodo florido per lo shooter più longevo della storia, la scena di Call of Duty era seguitissima, venivano organizzati innumerevoli tornei ufficiali e non e tantissime persone dedicavano ore della propria vita nel tentativo di diventare un Giocatore Professionista o un Content Creator dai grandi numeri su YouTube.
Tra una Partita Classificata e l’altra, il tutto alternato da tornei e LAN, inseguivamo questo sogno, non pensando che in pochissimi anni tutto sarebbe mutato e che il settore stesso avrebbe radicalmente cambiato il proprio percorso.
Insomma gli anni passano, ed ogni anno l’utenza aspetta Novembre per l’uscita del nuovo Call of Duty, tra code fuori dai negozi e la caccia al negozio che aveva “rotto” il DayOne del gioco, per potersi portare avanti, conoscere il nuovo capitolo prima di tutti e tornare a far nottata con gli amici o i compagni di team.
Arriva il 2017 e da questo momento nulla sarà più lo stesso. Tutti quanti iniziano a parlare di Fortnite e di un nuovo sottogenere degli FPS: il Battle Royale. Chiunque al mondo è entrato, volente o nolente, in contatto con questo nuovo titolo che ha saputo conquistare una larga fetta di utenza giovanissima e, tra balletti, emote e gesti ormai entrati a far parte della quotidianità di tutti, Fortnite conquista il globo. Ed ecco come i Battle Royale hanno cambiato tutto.
La corsa alla vittoria
L’esplosione di Fortnite ha generato un’immensa onda d’urto nell’industria dei videogiochi, creando un effetto domino nel settore. Quello stesso anno infatti viene rilasciato, poco prima della beta di Fortnite, PlayerUnknown’s Battleground -ossia PUBG- su PC. Si rivelò un lancio dai numeri strabilianti, considerato che scalò la classifica dei “most-played” su Steam e superò DOTA come numero di giocatori attivi in contemporanea. Vendette 40 milioni di copie solo il primo anno.
La conseguenza fu una corsa al Battle Royale da parte dei titani dell’industria, in breve tempo portarono infatti sul mercato titoli come Apex Legends e Warzone, che al momento detengono la corona dei Battle Royale più giocati, insieme a Fortnite e PUBG.
Il nuovo genere di punta è stato dunque stabilito, con buona pace dei classici FPS. Nonostante vengano comunque rilasciati nuovi shooter (Call of Duty continua comunque a proporre un capitolo all’anno) è piuttosto evidente che l’utenza tenda a perdere interesse in breve tempo. Le modalità old school non sono più così apprezzate, così come l’obbligo di dover sbloccare le armi ed accessori livellando. All’utenza piace il brivido del rischio nell’atterrare in zone sempre diverse in mappe enormi, cercando loot in maniera forsennata e giocando di skill e tattica per migliorare il proprio equipment e battere gli avversari.
C’è quel “je ne sais quoi” nello startare una partita in un Battle Royale. Nel non sapere quali armi troverai, quali scudi riuscirai a procurarti e se riuscirai a battere gli altri giocatori. È sempre un testa o croce, vivi o muori. Spesso non ci sono seconde chance e per riuscire a vincere una partita ci vuole tempo e tanta skill. Perché, sebbene i Battle Royale forniscano loot completamente casuale, sta allo spirito di sopravvivenza ed inventiva del giocatore il riuscire a sovrastare le problematiche che ogni partita ti propone. Ed è forse proprio questo fattore che ha saputo conquistare il grande pubblico, spingendolo ad appassionarsi sempre di più ad un genere completamente nuovo nel settore.
Skill ma non solo
I Season Pass ci hanno salvati dalle loot box e dal gioco d’azzardo. In origine, all’uscita di Xbox One e PS4, le Loot Box erano la novità introdotta dalle grandi aziende come modalità di drop dei complementi estetici dei loro titoli. Da molti criticate, le Loot Box hanno spinto milioni di giocatori a compiere micro transazioni nei loro titoli preferiti per provare ad ottenere le Skin che tanto desideravano. Fortnite non solo ha reso famoso un genere, ma ha anche inventato il “modello” del Season Pass, ossia un metodo più “etico” per ottenere i complementi estetici in game: invece di pagare la “possibilità” di ottenere una skin, il Season Pass offre ai giocatori l’occasione di sbloccare i cosmetics semplicemente giocando. Non è nemmeno obbligatorio per poter fruire di una piena esperienza di gioco e spesso va a ripagarsi semplicemente completandolo.
Tramite il sopracitato Season Pass, le diverse aziende hanno potuto sbizzarrirsi nella creazione di Skin uniche nel loro genere e collaborazioni di rilievo con altre aziende: in questo Fortnite ha surclassato i colleghi, tra Marvel, Disney, Naruto, DragonBall e molte altre collaborazioni, siamo arrivati ad un numero totale di 1393 skin disponibili.
Ormai dunque il lato “aesthetic” non è più marginale, ma rientra tra i fattori fondamentali per il successo di un Videogioco. Tutti noi veniamo immancabilmente attratti dalla varietà di skin e personalizzazione del personaggio e siamo ancora più stimolati a giocare se il personaggio da noi scelto ci rappresenta in qualche modo. Perché sì, è comunque bello sentirsi “parte integrante” dell’esperienza.
Ma non solo, l’idea dei Season Pass ha effettivamente reso longevi i titoli che li propongono. Poiché ciò consente i developer di portare ad ogni stagione nuovi contenuti sia in game che estetici, senza necessariamente creare un nuovo titolo. I giocatori, così facendo, restano legati al titolo e sono più invogliati a fruire dei contenuti proposti.
“Lo provo, tanto è gratis”
Quando qualcosa è gratuito ha sempre un sapore migliore. Ciò vale anche per videogiochi e questo è un dato di fatto; la riprova è stata che titoli a pagamento come PUBG e H1Z1: King of the Kill alla fine hanno ripiegato su questa tipologia di gioco. Scaricare un Battle Royale Free 2 Play che garantisce piena esperienza di gioco senza dover necessariamente spendere soldi è stata una manna dal cielo per i gamer. È un modello che funziona, perché fondamentalmente le compagnie ripagano il loro investimento tramite i Battle Pass o le skin a pagamento (che comunque restano opzionali per il giocatore), mentre i player possono godersi l’esperienza di gioco a pieno, oppure decidere di optare per altri titoli senza il rimorso di aver speso soldi per un qualcosa che non calza a pennello nei loro gusti personali.
Il fattore Free 2 Play ha anche dato un enorme boost alle streaming. Tantissimi sono i giocatori che hanno deciso di provare a crescere come content creator su Twitch che, oltre che ai MOBA, ha largamente beneficiato dell’arrivo dei BattleRoyale. Si è infatti parlato a lungo di Ninja, uno dei primi streamer a triplicare il suo successo globale grazie a Fortnite. Anche in questo caso l’effetto domino ha colpito molti altri content creator che, ad oggi, continuano a portare i Battle Royale come contenuto principale del proprio canale. I dati di Twitch sono chiari: oltre ai titoli MOBA come League of Legends e DOTA, solo i Battle Royale spostano grandi numeri di utenza. Questo perché gli spettatori amano guardare il loro Player preferito e imparare da lui, tifare per lui e seguirlo mentre combatte, loota e vince. Come ho detto prima, attira proprio quel “je ne sais quoi”.
E i cari e vecchi shooter?
Calmi, nessuno ha detto che il genere sia morto. Semplicemente ha accusato un forte colpo e perso molta utenza attiva ogni mese – fatta eccezione per CS:GO e Valorant, che anzi hanno visto un picco di nuovi utenti dall’inizio della pandemia, ma sono titoli che andremo ad approfondire a tempo debito – , per motivi sia legati alle nuove abitudini generate dai Battle Royale (sfide stimolanti, battle pass pieni di contenuti e skin oggettivamente appealing per i giocatori) sia forse per motivi legati al fatto che tanti titoli non hanno visto grosse innovazioni nell’arco degli ultimi dieci anni. Call of Duty ci ha provato con Advanced Warfare, con Black Ops III e col peggio riuscito Infinite Warfare, generando però più polemiche da parte della community dei veterani che altro – nonostante Black Ops III sia stato oggettivamente un FPS davvero altamente competitivo e ben realizzato-. Battlefield stesso è ormai vittima del suo stesso nome e non riesce, anche a livello tecnico, a mantenere le aspettative del pubblico e della critica.
Il futuro degli Shooter resta legato soprattutto al mondo eSport, grazie a CS:GO e Valorant, che portano avanti con onore lo stendardo del genere, senza perdersi nei meandri della community più casual, mentre per quel che riguarda titoli più standard e generalisti i prossimi anni pongono un grande punto di domanda, soprattutto per quel che concerne un fattore: vale ancora la pena investire soldi e sviluppare titoli che comunque vanno a perdere di seguito in pochi mesi?
Tutto qui sta all’inventiva degli sviluppatori e dei publisher nel saper (ri)catturare l’attenzione dei giocatori. Poiché checché se ne dica, il fenomeno Battle Royale non è più solo una questione settoriale, ma globale, grazie ad un sapiente uso dei social, delle collaborazioni e anche degli eventi in game – avete mai visto dei concerti dal vivo in un videogioco? Beh, Fortnite ha portato anche questo –
Insomma oggi più che mai l’opinione delle community sono fondamentali, del resto sono queste persone che muovono il mercato, soprattutto nell’ottica dei Multiplayer.