Da anni si vocifera di Atomic Heart. Precisamente dal 2018 quando il progetto di questo action immersive-sim, ambientato in un’ucronia retro-futuristica di stampo sovietico, fu annunciato. Cinque anni in cui il mondo è cambiato radicalmente e con esso anche noi. Ora il titolo sviluppato dall’esordiente Mundfish è realtà e il 21 febbraio fa il suo esordio nelle nostre librerie (digitali e non), compreso il lancio al day-one su GamePass. Fin dalle premesse sapevamo di trovarci davanti a un videogioco a dir poco ambizioso, con la promessa (più o meno esplicita) di voler raccogliere l’eredità di BioShock e diventare uno dei grandi prodotti di questa generazione. Risultato centrato? Cerchiamo di scoprirlo nella nostra recensione di Atomic Heart.
Ucronia sovietica
Siamo nell’Unione Sovietica del 1955 ma non ci troviamo nel delicato periodo post-stalinista con la potenza guidata da Chruščëv. In questo mondo le cose sono andate in modo leggermente differente. Verso la fine degli anni ’30 Dmitry Sechenov, scienziato russo di alto rango, testa con successo la fusione a freddo dell’idrogeno e crea poi il primo Polimero. Due scoperte che gli apriranno il vasto mondo della robotica con un vantaggio sostanziale rispetto a tutte le potenze estere. Poco dopo viene introdotto il Kollektiv 1.0, una sorta di rete internet ante litteram. Da questi presupposti nasce l’URSS avanguardistica a trazione robotica in cui è ambientato Atomic Heart.
L’Unione Sovietica esce trionfale dal secondo conflitto mondiale e continua la sua marcia verso il progresso e il ruolo centrale di potenza mondiale. Arriviamo nel 1955, la nostra porta d’ingresso nella storia. Siamo Sergey Nechayev, Maggiore P-3 del KGB e arriviamo in un conglomerato urbano di città che fluttuano sopra le nuvole proprio in occasione del lancio del Kollektiv 2.0, upgrade che dovrebbe sintonizzare pensieri ed emozioni di umani e macchine. A volerci lì è lo stesso Sechenov, con cui abbiamo stretto un determinato rapporto proprio negli anni di guerra. Durante la nostra visita però le cose non andranno come previsto, i robot perderanno il controllo e riconosceranno ogni essere umano come una minaccia da annientare.
Grande immersione
Lo diciamo subito senza timore di essere smentiti: il mondo creato dal team di Mundfish funziona. Questo merito di una grande attenzione alla narrazione ambientale, ricca di piccoli dettagli sparsi in ogni angolo delle mappe. Esplorando si possono trovare un sacco di piccole chicche, di scritte che il traduttore automatico porterà dall’alfabeto cirillico a uno a noi più comprensibile, di oggetti in grado di raccontarci esperienze di altri NPC o del passato di quella realtà. Nei primi minuti in cui arriviamo alla città volante, prima che inizi la catastrofe, possiamo muoverci scoprendo già tutto il background necessario. A questo va aggiunto il design, curato nei minimi dettagli, che ci permetterà davvero di respirare l’ambientazione retro-futuristica in cui è immerso Atomic Heart.
Il risultato finale è un mondo a metà tra BioShock e un Fallout ambientato in Unione Sovietica, anni ’50 russi dove trionfa la falce e il martello popolato però da robot di ogni tipo. Un mood reso ancor più coinvolgente dalla colonna sonora, a cui ha collaborato anche Mick Gordon, in grado di unire le opere di Tchaikovsky alla musiche di tutt’altro genere, dall’house al metal. Se la narrazione ambientale quindi si rivela il potenziale colpo da ko di Atomic Heart lo stesso non possiamo dire di quella tradizionale. La trama prosegue in modo piuttosto singhiozzante, con un discreto numero di colpi di scena ma molto dilatati nel tempo. Il gioco non ha questa forza trainante nel portare avanti i suoi personaggi, fattore che potrebbe portare alcuni giocatori a perdere il fil rouge che unisce la storia.
Il combat system
La prima fase di Atomic Heart ci butta all’interno dell’installazione 3826 da cui dovremo cercare di emergere dopo diverse ore di esplorazione, enigmi e combattimenti. A molti ricorderà la Rapture di BioShock, non senza ragione ammettiamolo. In questa fase impareremo la maggior parte delle dinamiche di gioco che accompagneranno il nostro percorso nel mondo ideato dai ragazzi di Mundfish. L’esplorazione la farà da padrone, con un ricco sistema di sblocco porte. Avremo serrature da aprire con un sistema in cui l’importante sarà il timing, altre in cui dovremo riprodurre uno schema visivo, altre ancora che si baseranno su piccoli enigmi. Sbloccare le porte sarà fondamentale nel dar vita e aprire il discreto level design creato. Ovviamente gli spostamenti non saranno sereni e privi di ostacoli, anzi. La struttura sarà ricca di nemici che saranno pronti ad affrontarci. Ed è qua che entra in gioco il combat system ideato per Atomic Heart.
Anche qua i richiami a BioShock sono abbastanza evidenti. La visuale è in prima persona, nella mano destra avremo le armi vere e proprie: da corpo a corpo come l’ascia, da fuoco come l’AK-47 o lo shotgun, elettriche come una pistola a impulsi. Nella sinistra invece un guanto a base di polimeri dotato di intelligenza artificiale (Charles) che, oltre ad aiutarci a sbloccare le porte, ci donerà un certo numero di abilità come l’elettroshock, la telecinesi, la possibilità di creare uno scudo e via dicendo. Ogni qualvolta incontreremo Nora, un distributore dalla voce femminile in cerca di attenzioni sessuali, potremo migliorare il nostro equipaggiamento con le risorse trovate in game.
Qua la cosa si fa molto interessante. Le armi (circa una ventina) sono tutte personalizzabili in maniera “home-made”, potremo quindi smontarle e rimontarle così da avere le caratteristiche a noi più utili. I progetti per dar vita a queste personalizzazioni si trovano in giro per le mappe. Nora ci darà la possibilità di utilizzarla anche come deposito, visto che il nostro inventario ha uno spazio limitato (e “a puzzle” come in Resident Evil). Le abilità del guanto hanno a loro volta hanno un albero abilità piuttosto vasto. Le varie combinazioni possibili tra armi e capacità date dai polimeri rendono il combat system piuttosto vario.
I limiti: tecnici e non
Tra tutte le caratteristiche da prendere come ispirazione da BioShock forse la meno indicata era proprio quella del combat system, invecchiato e non più al passo coi tempi. Atomic Heart però lo fa con una certa intelligenza, dando al giocatore modo di sperimentare con varie combo. Il problema principale risiede però nel sistema di movimento del personaggio. Risulta infatti spesso impacciato, tendente all’incastro in più zone della mappa. Un problema per quanto riguarda i combattimenti: spesso ci si ritrova ad affrontare piccole orde di nemici, molto più rapidi di noi. Incastrarsi significa automaticamente venire bullizzati e morire istantaneamente. Lo stesso per quanto riguarda i boss molto grandi e veloci, come il primo che si incontra. Il gioco mette a nostra disposizione indizi e risorse ambientali per sconfiggerlo ma comunque la mobilità rappresenta un limite frustrante. Un problema che affligge anche il nostro rapporto con enigmi ambientali in cui cadere o incastrarsi non a causa nostra diventa quasi una spiacevole routine.
Dopo la fase nello stabile 3826 finalmente emergiamo in superficie e qua si raffronta un altro punto a sfavore del gioco. L’apertura all’open world appare subito come un qualcosa più di facciata che effettivamente utile. Il mondo risulta spoglio, gli spostamenti (a piedi o più avanti sui mezzi) caratterizzati da un gran numero di nemici e niente più. Alcune aree sono esplorabili ma spesso non sono vive, lo diventano dopo aver sbloccato un determinato punto della trama. E l’incredibile numero di nemici che ci viene messo davanti fa saltare all’occhio un doppio problema che ruota attorno alla ripetitività, legata ai nemici e appunto al modo di affrontarli. Il design dei robot assassini ha pochissima varietà, sia per quelli meccanici che quelli organici (usciti direttamente da The Last of Us). In più una volta trovata la giusta combo di tecniche (la telecinesi è probabilmente troppo forte) non rappresentano più una vera minaccia.
Infine chiudiamo con una segnalazione. La nostra sessione di gioco, svolta su Xbox Series X, è stata falcidiata da problemi tecnici legati a corruzione di salvataggi o bug che ci privavano di armi o abilità nell’inventario. Spesso ci ritrovavamo costretti a ripartire da un altro salvataggio per poter proseguire normalmente. Niente che un corposo aggiornamento non possa risolvere e per questo ne terremo conto solo parzialmente in sede di valutazione.
La recensione in breve
Atomic Heart è sicuramente un gioco in grado di raccogliere in parte l'eredità di BioShock. Il concept e le suggestioni abbracciano quelle di Ken Levine, soprattutto grazie a una cura delle ambientazioni e della narrazione ambientale di primissimo livello. I limiti emergono in parte nella gestione della trama e soprattutto in un sistema di movimento che compromette il lavoro fatto sul combat system. Da segnalare alcuni problemi tecnici nella versione dataci per la recensione.
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Voto GamesEvolution