Potreste pensare che negli ultimi tempi si parli fin troppo di open world e dintorni, che ormai le parole si sprechino, e che ormai quello che c’era da dire sia stato già detto. E invece sentiamo che il punto sulla questione non sia stato ancora centrato: si gira in tondo rimuginando sempre sugli stessi argomenti. È da qui che nasce l’idea dell’articolo di oggi: per cercare una nuova visione, una nuova prospettiva da cui osservare le cose. Per cercare di capire cosa rende un open world un capolavoro.
L’itinerario
La nostra riflessione partirà da molto lontano nello spazio e nel tempo, precisamente ad Ippona, nel 398 d.C.
“E gli uomini vanno ad ammirare le alte cime dei monti, gli ingenti flutti del mare, gli estesissimi corsi dei fiumi, la distesa dell’oceano e i moti delle stelle, e trascurano sé stessi (Sant’Agostino, Confessioni, X, 8)”
La potenza dei classici è qualcosa che spesso viene sottovalutata, accantonata lì in libreria assieme a quei volumi polverosi. E invece è proprio dai classici che si può partire per riflettere sulle numerose sfaccettature della contemporaneità, cercare di comprenderne le direzioni, le tendenze, le ragioni. Passando alla terminologia videoludica, si potrebbe dire che i classici siano una sorta di sandbox, poiché possiamo coniugarli in praticamente qualsiasi ambito, a seconda delle nostre esigenze, e riusciranno comunque ad insegnarci qualcosa di nuovo. In questo ci ritroviamo con le parole di Italo Calvino, che diceva che “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.”
Esplorare, indagare
E qui entriamo nel fulcro: quali sono gli elementi che rendono un open world un’opera artistica degna di nota? Andiamo per gradi. Per quanto è negli ultimi anni che il termine open-world è diventato di uso comune in ambito videoludico, le sue origini risalgono al 1976, anno di uscita di Colossal Cave Adventure, avventura testuale che ha posto le basi per questa tipologia di opera interattiva. Il videogioco sviluppato da William Crowther e Don Woods si basava totalmente sulla libertà esplorativa: il protagonista infatti è un esploratore che decide di inoltrarsi in una caverna piena di tesori dalla quale nessuno ha mai fatto ritorno. Esplorazione, rischio e mistero sono quindi gli elementi cardine di questa esperienza, che sfiderà la curiosità del giocatore.
Da Colossal Cave Adventure agli open world moderni il passo è più breve di quello che si può immaginare: il concept del gioco a mondo aperto si è espanso ed arricchito di dettagli grazie alla grafica 3D (Super Mario 64 è stato un pioniere in questo senso) ed alla possibilità di costruire un mondo coerente, esplorabile sia fisicamente – “le alte cime dei monti” di cui parlava Agostino – che mentalmente – attraverso la ricostruzione della storia precedente del mondo di gioco, come nel recente Elden Ring.
Per un “mondo aperto” vivo, vibrante
Ma ancora non abbiamo chiarito un punto: qual è il collegamento tra le parole di Agostino con questa riflessione? Abbiamo osservato, giocato e vissuto nel corso degli anni – come molti videogiocatori avranno sicuramente fatto e faranno – numerosi mondi ed avventure considerabili open world, e riflettendoci abbiamo trovato un elemento che accomuna tutti quei videogiochi che mi hanno lasciato qualcosa, che sia un’emozione o delle riflessioni. Sì, l’esplorazione in sé è qualcosa che può essere piacevole, ricreativa, può permetterci di immergerci in mondi immaginari e vivere esperienze impossibili nella vita vera – e anche solo così è presente la possibilità di vedere le cose sotto svariati punti di vista nuovi –, ma la differenza la fa la coerenza. Ci spieghiamo meglio: un mondo come quello di Horizon: Forbidden West (2022) è ricco di dettagli e punti d’interesse, ma la maggior parte di questi risultano fini a sé stessi, senza un collegamento vero e proprio né con le tematiche dell’avventura, né forniscono dettagli soddisfacenti riguardanti la trama ed i personaggi: tutta questa cura e ricchezza sfocia quindi nella saturazione e spesso si finisce per chiedersi se vale davvero la pena di esplorare “a tempo perso” l’enorme mappa del west proibito.
In videogiochi come Red Dead Redemption (2010), Mass Effect 2 (2012) e The Witcher 3 (2015) invece l’impressione è che ogni elemento, dalle quest secondarie ai piccoli incontri casuali, faccia risonare i temi e le storie che l’opera vuole raccontarci. Prendendo come esempio The Witcher 3, molti dei contratti secondari che potremmo far portare a termine da Geralt ci racconteranno una parte di lui e del mondo in cui vive, per non parlare delle intere quest-line dedicate ai personaggi secondari, che oltre ad influenzare la nostra storia ed esperienza in quanto fruitori, contribuiranno a rendere più chiaro e dettagliato il ventaglio di messaggi che i ragazzi di CD Project Red hanno intenzione di trasmettere. E ancora, Elden Ring (2022), in un modo completamente opposto, rifiutando alcuni dei canoni della narrativa su binari (rimane comunque lineare nei macro-elementi legati alla trama), ci permette di creare la storia del nostro Senzaluce, che con ogni probabilità sarà unica e significativa, in quanto fin dai primi momenti di gioco avremo libertà di esplorazione pressoché totale, ed ogni bosco, ogni grotta, ogni squarcio di panorama avrà una storia diversa da raccontarci. Storie che però non rimangono dei piccoli fari scollegati l’uno dall’altro, ma che potremmo usare per unire i puntini dei vari puzzle che costituiscono passato, presente e probabile futuro dell’Interregno.
“Risonanza”
Dopo questo excursus, è bene rileggere le parole di Agostino: “E gli uomini vanno ad ammirare le alte cime dei monti, gli ingenti flutti del mare, gli estesissimi corsi dei fiumi, la distesa dell’oceano e i moti delle stelle, e trascurano sé stessi (Sant’Agostino, Confessioni, X, 8)”
Si potrebbe pensare che ammirare “le alte cime dei monti, gli ingenti flutti del mare, gli estesissimi corsi dei fiumi, la distesa dell’oceano e i moti delle stelle”, per giunta virtualmente, ci faccia trascurare noi stessi, ma la verità è che il valore di un buon open world è proprio quello di ribaltare questa affermazione: attraverso le cavalcate nel West di Red Dead Redempion ed ai pensieri di John Marston possiamo riflettere sulla nostra società, insieme al Comandante Shepard ed alle sue esperienze con la crew della Normandy possiamo sentire il peso di una missione impossibile, e con essa i profondi legami che vanno a crearsi tra persone unite da forti ideali, e che travalicano culture e “razze”. Esplorando il mondo aperto di un videogioco ben scritto è possibile riscoprire ed immergersi nell’umanismo. Ed è così che ci capiterà di riflettere sulla vita l’universo e tutto quanto osservando un semplice cielo stellato, anche virtuale.