La storia produttiva di Dead Island 2 è quanto di più simile ci sia a un’odissea in ambito videoludico. Già il primo titolo era stato annunciato nel 2006 per poi uscire solo nel 2008. Peggio è andato al sequel, lanciato ormai quasi dieci anni fa con un trailer rimasto nell’immaginario collettivo per poi rimanere incastrato in dilemmi produttivi, cambio di software house e via dicendo, per uscire solo quest’anno. Davanti a uno scenario simile il risultato più semplice da figurarsi è quello di un titolo compromesso. Il bellissimo gameplay trailer rilasciato prima del lancio aveva invece prefigurato un prodotto riuscito e anzi sopra ogni più rosea aspettativa. Ecco, come vedremo nella nostra recensione di Dead Island 2, il gioco si piazza esattamente a metà tra questi due estremi.
Una trama accessoria
Dead Island 2 si apre con un filmato che ci catapulta in una nuova epidemia. Questa volta siamo in California a una quindicina di anni di distanza dagli eventi del primo capitolo. Oltre che a buttarci in questa apocalisse in salsa losangelina, il prologo ci presenta rapidamente i sei personaggi giocabili tra cui potremo scegliere il nostro. Tutti dobbiamo dire piuttosto caratterizzati nel character design, con un occhio di riguardo all’inclusività che non guasta mai, soprattutto se posta in maniera così brillante. Il filmato finisce con i nostri che raggiungono un aereo con cui fuggire dalla città. Ovviamente, come impone la legge di murphy, il suddetto non spiccherà mai veramente il volo e precipiterà dando il via alla nostra vera avventura. Subito dopo il disastro aereo faremo il nostro ingresso pad alla mano con il personaggio scelto in precedenza.
Qua ci troveremo davanti a un classico tutorial, dove imparare le dinamiche base di gioco, che si concluderà con una cut scene in cui verremo morsi e faremo i conti con la prima grande rivelazione: facciamo parte di un gruppo minoritario di immuni. Questo il vero e proprio punto di partenza di un’avventura che ci accompagnerà per circa una ventina di ore, destinate ad aumentare sensibilmente se affrontata con animo completista. L’obiettivo finale sarà quello di recuperare alcuni compagni di viaggio per poi abbandonare Los Angeles, per l’occasione ribattezzata Hell-A. Una trama che non avrà guizzi importanti o i retroscena “complessi” del primo capitoli, né tantomeno un’anima incalzante, ricca di avvenimenti e colpi di scena. Insomma niente di memorabile ma tutto affrontato con sano approccio canzonatorio, battute sopra le righe e amore per il sangue e le carcasse.
Che bella Hell-A e che bello smembrare cadaveri
Non è un caso che Hollywood, l’industria più importante al mondo dell’intrattenimento sia nata a Los Angeles. Quel preciso punto della California è colpito in modo unico dai raggi del sole che creano un effetto visivo unico. Oggi tutta la regione – e in particolare LA – è un angolo di mondo molto particolare, fuori le righe e terribilmente contraddittorio. Ma per quanto problematico rimane baciato da quella luce che rimane tra le più belle del nostro pianeta e che, soprattutto, per ovvie ragioni ha il sapore di cinema. Ecco, uno dei meriti più grandi e che nessuno può togliere a Dead Island 2 è quello di rendere in Hell-A quei colori, quel calore, quei raggi di sole che da più di un secolo irradiano tutti i migliori film. Allo stesso tempo il team di Dumbuster Studios è stato in grado di portare a schermo con goliardia tutte le storture tipiche della California e di Los Angeles. Così muoversi per la città sarà un vero piacere, specialmente nelle prime ore di gioco dove tutto ci sembrerà nuovo e divertente.
Avremo a disposizione una mappa, una di quelle dove appaiono le ville delle star di Hollywood e l’esplorazione, specie grazie a un paio di missioni secondarie che puntano molto su questo aspetto. Ovviamente però non saremo liberi e soli nel girovagare. Avremo dei graziosi non morti a farci compagnia e a cercare di sbarrarci la strada nella gita turistica. L’impatto estetico degli zombie, manco a dirlo, funziona alla grande. A stupire davvero sul piano tecnico è però il modo in cui possiamo interagire con i loro corpi. Un sistema procedurale che ci permetterà di tagliare, smembrare e rompere con massima cura i morti che camminano, vestiti compresi. Rendersi conto che pure l’inclinazione del colpo è trasposta al dettaglio ci ha veramente sorpresi. Insomma, dal punto di vista tecnico, con i suoi 60 FPS stabili – tranne in un’esperienza coop che abbiamo sperimentato dove la situazione era più ballerina -non possiamo proprio lamentarci visto anche il calvario produttivo.
Gameplay troppo statico e ripetitivo
Le cose cambiano abbastanza se guardate dal punto di vista del gameplay. Come detto in precedenza potremo scegliere tra sei personaggi giocabili. Ognuno di essi porta con sé delle caratteristiche uniche e dei valori che influiscono direttamente sul gioco. Si tratta in sostanza di vere e proprie build con le quali iniziare il gioco e che di livello in livello subiranno delle consequenziali modifiche. A questo si aggiunge il sistema delle carte abilità sbloccabili vagando per Hell-A, uccidendo zombie o avanzando di livello. In sostanza le suddette apporteranno dei bonus al personaggio oppure amplificheranno l’effetto di determinate armi. Un sistema abbastanza funzionale per arricchire l’avanzamento del personaggio. Ciò che determinerà però il modo in cui affrontare il gioco, ancor più che il personaggio scelto o le carte, sono le armi. Tante, di ogni tipo e soprattutto modificabili in base a quello che troveremo e a cosa molleranno i nostri simpatici mangia-cervelli.
Il problema è che l’utilizzo di queste armi, col passare delle ore, non risulterà più particolarmente divertenti. Specialmente perché il feedback che danno non è sempre unico o peculiare, anzi a lungo andare tendono ad assomigliarsi più di quanto non fosse auspicabile. Il tutto è poi ulteriormente confinato in un gameplay estremamente ripetitivo, che non subisce mai guizzi particolari e che rimane incredibilmente confinato in dinamiche e ritmi vecchi di una decade e lontano dall’action che speravamo di poter incontrare. In particolare per quanto riguarda l’interazione con l’ambiente e quella con alcune boss fight nella seconda metà di gioco. Giocare a Dead Island 2 dona più gioia visiva di quella che non si prova con il pad alla mano. Non per questo si tratta di un titolo da demonizzare, anzi. Le ore spese a Hell-A saranno comunque goduriose.
La recensione in breve
Giocare a Dead Island 2 dona più gioia visiva di quella che non si prova con il pad alla mano. Hell-A e l'effetto dei danni sugli zombie sono roba di cui difficilmente ci dimenticheremo. Peccato per un gameplay stantio e ripetitivo. Non per questo si tratta di un titolo da demonizzare, anzi. Le ore spese a Hell-A saranno comunque goduriose.
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Voto GamesEvolution