Siamo tutti in febbrile attesa del remake di Dead Space, ma perché? In qualche modo molte voci nel web si sono fatte sentire con una cassa di risonanza abbastanza ampia: perché creare un remake di un titolo ancora oggi molto valido e fruibile quanto godibile nella sua forma originale?
Ad oggi, di quel Dead Space del 2008 ideato da Glen Schofield che da poco è uscito sul mercato con The Callisto Protocol, è rimasto tutt’ora un ricordo indelebile, una cicatrice che pulsa ancora oggi sulla pelle di ogni videogiocatore, una sensazione che capita solo ai videogiochi che riescono a rivoluzionare il settore e mettere una firma importante, perpetua nel tempo.
Vediamo assieme quali sono stati quegli ingredienti, benedetti da una matrimonio perfetto, che hanno reso Dead Space uno classico del genere horror.
Il contesto horror
Il genere horror come ben sappiamo è ampiamente sfruttato in ogni suo campo, dal cinema alla cornice televisiva, passando per la letteratura e appunto il genere videoludico. L’horror però è tanto sfruttato quanto mal gestito per il potenziale intrinseco. Cosa vuol dire questo? Che la maggior parte delle opere che sguazzano nel genere ormai si rifanno ai soliti cliché riciclati all’inverosimile, che sia uno jumpscare piazzato nei momenti morti o soluzioni declinate allo splatter senza filtri, il più delle volte soluzioni utilizzate da chi, dal genere, non riesce a ricavarne mai sensazioni o emozioni vere.
Paradossalmente, sia nel cinema quanto nel mondo dei videogiochi, chi riesce davvero a terrorizzare sono sempre autori o sviluppatori che si cimentano nelle produzioni a basso budget, di chi sovverte le classiche regole commerciali e si ciba di una grammatica di gioco (o narrativa) diversa dalle solite regole non scritte. Non a caso si segnalano i casi di Amnesia, Outlast ma anche il coraggio di cambiare le carte in tavola come Resident Evil VII.
Dead Space nel suo essere rivoluzionario in realtà non fa nient’altro che prendere concetti e ispirazioni già ben oliate e farle funzionare a dovere, in modo cristallino e con la piena consapevolezza di attingere da diverse fonti, ma la sfrontatezza di possedere un’anima forte, consistente, che funziona anche come struttura portante di quelli che poi saranno i sequel.
Insomma, Dead Space non inventa o rivoluziona nulla, ma quello che metteva in scena era realizzato e idealizzato con professionalità, cura, passione e precisione chirurgica.
Le ispirazioni
Mi è capitato di intervistare Glen Schofield poco prima del lancio di The Callisto Protocol e anche in quella situazione ha voluto ribadire uno degli elementi fondamentali che, secondo lui, sono alla base del successo di Dead Space, ovvero Resident Evil 4.
Lo sviluppatore infatti voleva creare un videogioco dell’orrore in un contesto spaziale, ma le idee sulla sua realizzazione erano varie, confuse, senza un’identità. Il collante di tutte queste opere è stato proprio Resident Evil 4, un altro grandioso videogioco, opera seminale ancora oggi da lacrimoni che solcano i nostri visi al solo ricordo. Per Schofield Resident Evil 4 era la chiave di volta, il pezzo che mancava per far partire tutto l’ingranaggio che aveva nella testa.
Ma non solo: Dead Space è stato un titolo che non ha mai nascosto le grandi ispirazioni cinematografiche, da Event Horizon (Punto di Non Ritorno) ad Alien; Dead Space non ha fatto altro che attingere, rapire con gli occhi per ricostruire e avviluppare il meglio di tutto ciò in un titolo estremamente divertente quanto ricco di tensione.
Autoconclusivo
Lo sappiamo: Dead Space ha dato vita a due sequel diretti, Dead Space 2 e Dead Space 3. Se in molti hanno applaudito l’evoluzione tecnica come narrativa del secondo capitolo, la magia purtroppo si è spezzata con il terzo, che ha trasformato un horror di forte tensione in un action nudo e crudo.
Dead Space aveva dalla sua una forza pazzesca proprio nel suo essere autoconclusivo, soddisfacente, risoluto senza paura di lasciare delusi arrivati ai titoli di coda: c’è un inizio e una fine, nel mezzo una bellissima storia di sopravvivenza, misteri e fantasmi da sconfiggere.
Perché un Classico?
Cosa rende Dead Space un Classico intramontabile? Per rispondere in modo netto alla domanda, l’unica risposta è da ricercarsi nella preservazione nel tempo assieme a quanto il titolo si stato tramandato nel tempo. Questo non capita con tutti i giochi, ma solo con quelli che sono riusciti a far arrivare il proprio messaggio nascosto ad un pubblico sempre più grande, riuscendo a coniugare esigenze che potremmo definire commerciali, con quella forza prorompente di difendere il lato autoriale dell’opera.
Un po’ come già detto da Anton Ego, il critico culinario del film Ratatouille: alcune volte c’è bisogno di difendere con le unghie e con i denti il “nuovo”, anche se non viene percepito o sostenuto dalla maggioranza degli utenti, Dead Space è riuscito in questa impresa nel tempo, a dispetto dei sequel e del silenzio stampa su ulteriori sviluppi riguardo il futuro del franchise.