Diablo 4 arriva a margine di un periodo non semplice per Blizzard Entertainment. Negli ultimi anni, infatti, la casa di Irvine è stata piagata da scelte infelici a livello di management e di marketing, unite a scivoloni nello sviluppo di diversi progetti, gestiti in maniera non certo irreprensibile, che l’hanno portata a navigare in acque non proprio tranquille. Il team di Diablo, dal canto suo, ha lavorato per molti anni in relativo silenzio, dapprima supportando più che degnamente Diablo 3 e permettendogli – grazie all’espansione Reaper of Souls e alle stagioni – di diventare un’esperienza più ricca di attività e cose da fare di quel che era al lancio, e poi portando avanti per tanto tempo i lavori sul quarto capitolo, ben consapevole che il mercato in cui quest’ultimo si affaccia nel 2023 è molto diverso da quello che era anche solo dieci anni fa.
Nel frattempo, infatti, i concorrenti – sempre più agguerriti – si sono moltiplicati, battagliando ferocemente per la palma di looter RPG isometrico più giocato e apprezzato, il che ha provocato una frammentazione delle community, con diversi giocatori “vecchia scuola” di Diablo che si sono spostati, per esempio, su Path of Exile o altri hack&slash meno conosciuti, come Last Epoch. Con Diablo 4, insomma, Blizzard aveva l’impellente necessità di sviluppare il miglior videogioco possibile, da un lato per “salvare” la serie e permetterle di non essere risucchiata e diventare “una delle tante” nel suo genere, dall’altro come progetto in grado di dimostrare che l’azienda è ancora capace di ragionare seguendo la vecchia filosofia che l’ha contraddistinta per tanti anni. Ci sarà riuscita?
Diablo 4 ritorna a casa
Per tagliare la testa al toro (in tutti i sensi, visto il contesto) ed essere da subito chiari, Diablo 4 si distanzia in modo netto dal diretto predecessore, tornando a un concept molto più affine a quello che era Diablo 2, sia nei toni – molto, molto più oscuri e cruenti che nel recente passato – sia nell’ambientazione, sia nel sistema di gioco, sia nell’endgame (ma a quello ci arriveremo). D’altronde, per i fan storici, il secondo capitolo è sempre stato quello meglio capace, fino ad oggi, di raffigurare la complessa lore di Diablo, tutta incentrata sull’Eterno Conflitto tra angeli e demoni: fazioni perennemente in guerra, dove il sangue scorre a fiumi e non c’è posto per concetti come la speranza – non come la intendiamo noi, almeno.
Diablo 4 recupera per buona parte quella concezione dell’universo diablesco, sbarazzandosi anche della stessa Sanctuary, ossia il regno abitato dalle creature mortali, scelta che viene giustificata dalle stesse premesse della trama. Nell’antefatto, la demone Lilith – figlia di Mefisto, uno dei tre Primi Maligni, entità malvagie primordiali – decide, insieme con l’angelo Inarius, di creare Sanctuarium, un mondo alternativo che cerchi di sfuggire alle logiche del conflitto perenne tra angeli e demoni e che viene popolato dai discendenti dei Nephilim (prole di Lilith e Inarius), che poi non sono altro che gli esseri umani. Un intento apparentemente nobile, insomma, ma dovete tener presente che l’universo di Diablo non ragiona esattamente secondo gli stessi concetti di bene e male e di giusto e sbagliato che abbiamo nella realtà, e che non tutto è come sembra.
La storia di Diablo 4 ci ha particolarmente colpito per la sua crudezza e per la qualità della scrittura, decisamente più a fuoco e coerente con il sostrato narrativo, in maniera simile a Diablo 2. La disperazione e la marcescenza che permea Sanctuarium si percepisce in ogni angolo, e i modi dei personaggi nel parlare e nell’interagire tra di loro fanno sì che si generino dinamiche completamente diverse da quelle che conoscevamo in Diablo 3. Ma non solo: Lilith, a nostro avviso, è una dei migliori villain mai visti nell’universo dell’RPG di Blizzard: spietata, sfuggente e manipolatrice, con intenti sempre seminascosti nell’ombra, capace di terrorizzare e al tempo stesso polarizzare lo sguardo fin dalla sua prima apparizione. Nonostante abbia uno screen time relativamente ridotto (buona parte dell’avventura ci vede impegnati a rincorrerla), il suo carisma è capace da solo di tenere insieme molto bene le vicende, narrate peraltro tramite cinematiche pre-renderizzate di assoluta qualità.
Siamo rimasti piacevolmente sorpresi anche dal modo in cui il nostro alter-ego è inserito nella trama (non vogliamo spoilerarvi troppo, ma sappiate solo che avete una “connessione” molto forte con Lilith). Anche i comprimari sono scritti molto bene, a cominciare da Lorath, misterioso horadrim già apparso in Reaper of Souls, ma anche Donan, la cui tragica sorte ci ha vagamente ricordato – non sappiamo se da parte del team ci sia stato un riferimento voluto o meno – quella del Barone Sanguinario di The Witcher 3.
Un mondo sconfinato ai nostri piedi
I sei atti della campagna, che si dipanano per tutte e cinque le regioni di Sanctuarium (una delle quali toccata solo marginalmente), hanno una durata – secondo una progressione “normale” e incentrata perlopiù sulle quest primarie – di circa una ventina di ore, anche se questo numero può salire un bel po’ non appena si fa una minima deviazione per dedicarsi ad altro, ed ovviamente diventa del tutto irrisorio se paragonato a quel che si fa dopo i titoli di coda.
Anche limitandosi ai contenuti legati all’esplorazione di tutto ciò che è calpestabile in superficie, Diablo 4 resta un videogioco enorme: ogni regione delle cinque principali, liberamente visitabile a piedi – o a cavallo, a partire dal quarto atto – è strapiena di attività collaterali da svolgere, con decine e decine di missioni secondarie, nelle quali è stato riversato un bel po’ di impegno: se é vero che molte sono banali fetch quest, bisogna anche dire che molte altre sono piuttosto strutturate e interessanti dal punto di vista narrativo.
La mappa, come abbiamo accennato poco più su, è non solo enorme, ma anche molto ben diversificata: ogni regione ha un tema principale, dalla montagna innevata, alla tundra, passando per deserti e paludi, e con luoghi iconici e tutti molto ben caratterizzati. Dal punto di vista della ricostruzione scenica, a Blizzard non si può criticare veramente nulla: il lavoro svolto è incredibile, e riesce ad accompagnare il giocatore senza stufarlo mai, anzi, esaltando certi momenti con un pathos visivo assolutamente perfetto.
Se il design dell’overworld è degno di encomio, laddove si cade un po’ nella ripetitività è nei dungeon, che, benché siano esteticamente stupendi, tendono purtroppo a riproporre in maniera un po’ troppo eccessiva determinati scenari. Nulla di eccessivamente drammatico, sia chiaro, ma alla lunga può subentrare un po’ di dejà-vu, e alla quarantesima volta che entrerete in una grotta che avevate già visto è probabile che vi concentriate unicamente sul combattimento, senza guardarvi più troppo intorno. Il design stesso dei sotterranei tende ad essere molto schematico: generalmente questi ultimi sono suddivisi in due aree in cui completare obiettivi, per poi passare all’arena del boss finale. Ancora (molto) più semplici sono le cantine, ridotte il più delle volte a una stanza o una grotta circolare.
Ci sono poi oltre 150 altari di Lilith disseminati a mo’ di collezionabili, condivisi tra tutti i personaggi legati al proprio account e utili per assegnare bonus passivi alle statistiche. Fortunatamente, per chi desiderasse darsi alla pazza gioia (addio tempo libero) e creare più di un PG, è anche possibile saltare la quest principale dopo averla completata una sola volta col proprio main, cosa che comporta lo sblocco immediato di tutte le attività di fine gioco. Avrete poi anche tre roccaforti per ogni regione, per un totale di quindici. Queste ultime fungono un po’ da “palestra” per l’endgame, e vi permettono di sbloccare alcuni crocevia secondari utili per meglio coprire tutta la mappa con punti di teletrasporto. Infine ci sono gli eventi pubblici, ottimi per iniziare a prendere confidenza con tutti i tipi di nemici e magari droppare qualche oggetto raro prima del tempo.
In generale ogni regione, sempre chirurgicamente strutturata attorno ad una città principale e varie zone secondarie in cui si dipanano le quest, ha il proprio fame system, ossia un sistema che vi ricompensa in vari modi se vi prendete il vostro tempo per esplorare, senza avere fretta di arrivare all’endgame: completare tutte le attività, per esempio, aggiunge qualche punto abilità a quelli ottenibili grazie ai punti esperienza, oppure aumenta il numero massimo di pozioni (utili per curarsi) o di oboli trasportabili, per tentare la fortuna e droppare item leggendari presso uno specifico NPC.
Fin dall’inizio del gioco, poi, avrete libero accesso ad oltre cento dungeon differenti. Il primo completamento di ciascuno di loro vi ricompensa con gli aspetti, ossia potenziamenti suddivisi per classe e che possono essere infusi nell’equipaggiamento. Il modo in cui affronterete i dungeon cambia drasticamente a partire dal livello del mondo 3, come poi vedremo: per ora vi basti sapere che è consigliabile completarne qualcuno già durante il livellamento e la storia, così da iniziare a capire subito quale build portare avanti.
Il solito, vecchio Diablo
All’avvio di ogni playthrough, Diablo 4 vi mette di fronte a cinque classi – per ora, poi ne arriveranno altre – con cui iniziare: Barbaro, Tagliagole, Incantatore, Negromante e Druido. Ognuna di esse ha i propri punti di forza e le proprie debolezze: benché con combinazioni di skill specifiche legate al Barbaro e all’Incantatore sia possibile fare danni mostruosi, sono tutte generalmente equilibrate, e il nostro consiglio è quello di iniziare semplicemente con quella che vi piace di più. All’inizio vi verrà offerta grande libertà di tornare sui vostri passi qualora non doveste essere soddisfatti di qualcosa: ad esempio, è possibile respeccare gratuitamente fino al livello 8, e con costi che si mantengono relativamente bassi in termini di gold fino al 60-70 sui 100 totali, il che incoraggia tantissimo a sperimentare e magari anche resettare tutto in corso d’opera.
Ogni classe dispone di sistemi legati al potenziamento che funzionano in maniera sensibilmente diversa rispetto alle altre, tanto che in alcuni casi, come per il Barbaro e il Negromante, si è resa necessaria l’adozione di menu separati: il Barbaro, per esempio, può equipaggiare tre armi diverse nello stesso momento, scegliendo tra varie tipologie, e può gestirle tramite il sottomenu legato alla perizia, sbloccando bonus passivi via via più forti in base all’uso che ne fa; nel caso del Negromante, invece, la stessa schermata è dedicata alle evocazioni, anch’esse con abilità a parte; l’incantatore, invece, può sbloccare e assegnare due skill ulteriori come incantamenti passivi, alcuni dei quali molto potenti.
Le classi si basano su stili differenti tra loro: il Barbaro non è cambiato troppo rispetto al passato e rimane un damage dealer prevalentemente melée, capace di infliggere grossi danni con i bonus passivi legati alle urla; il Tagliagole riveste il classico archetipo dell’assassino, con l’integrazione di alcune capacità proprie del Cacciatore di Demoni di Diablo 3, come la possibilità di impugnare l’arco; l’Incantatore è il mago del gruppo, ed è una classe prevalentemente ranged e incentrata sul DPS single target, anche se potenziando le barriere magiche si può adattare al combattimento ravvicinato; il Negromante è un evocatore che può farsi accompagnare in battaglia da numerosi minion e infliggere notevoli danni ad area; infine il Druido è il tank, che può contare su due tipi di trasformazioni animali (in lupo mannaro o orso) e su poteri legati alla terra, anch’esso, con danni perlopiù AoE.
Blizzard ha svolto un buon lavoro di bilanciamento tra le varie classi, anche rispetto alla beta che abbiamo avuto la possibilità di provare a marzo. Al momento dell’uscita nei negozi, infatti, molte abilità (soprattutto del Barbaro e dell’Incantatore, che in precedenza erano veramente troppo forti) sono state nerfate, così da rendere il ritmo dei combattimenti molto più simile a quello di Diablo 2 che a quello del terzo capitolo, che, una volta potenziati a dovere i personaggi, tendeva a diventare un vero e proprio massacro con molta meno tattica. Al contrario, Diablo 4 mira a farvi sudare il completamento dei dungeon più avanzati, restituendo un senso di progressione sicuramente più efficace e abituandovi fin dalle ultime fasi della storia a un innalzamento graduale ed effettivo nella difficoltà più che a una sua riduzione, crescita a cui dovrete presto o tardi sapervi adattare. Non tutto è perfetto, intendiamoci, e c’è ancora del lavoro da fare (soprattutto perché qualche contenuto tende ancora ad essere un filo troppo facile), ma la base è più che buona.
Equipaggiati di tutto punto
Un elemento con cui bisogna da subito prendere confidenza è ovviamente l’equipaggiamento vero e proprio, la cui gestione è demandata a vari vendor disseminati per le città (solo quelle principali li hanno tutti). Quelli principali, e con cui sarà necessario prendere confidenza anche in preparazione alle centinaia di ore che poi spenderete in gioco, sono il fabbro (per la gestione di armi e armature), l’occultista (per l’estrazione e l’infusione degli aspetti e la creazione dei sigilli, che vedremo poi) e il gioielliere (per gli anelli), a cui si aggiunge il guaritore (potenziamento pozioni, creazione elisir e incensi). Tutti e quattro, come ben saprete se siete già veterani, verranno visitati ogni pochi minuti durante le vostre scorribande.
I vendor secondari, invece, comprendono il latore di curiosità (dove spendere gli oboli viola), i mercanti per la compravendita (un elemento che per ora può essere ignorato, visto che tutto quel che dropperete basta e avanza) e lo stalliere, per gestire l’aspetto estetico del cavallo. Avrete poi a disposizione un forziere, espandibile fino a quattro box e condiviso tra tutti i personaggi, e un guardaroba, dove personalizzare l’aspetto del vostro PG.
Gli equip principali differiscono tra le varie classi, ma di base tutte e cinque hanno sempre a disposizione diverse categorie di elementi: una o più armi, quattro slot di armatura, un amuleto e due anelli. Tutti quanti suddivisi in varie rarità (gli item più preziosi sono i leggendari e gli unici, che a loro volta possono essere sacri o ancestrali, ma lì ci arriveremo dopo) e con una quantità enorme di attributi, la cui conoscenza è fondamentale per la creazione e lo sviluppo delle build più avanzate.
Il Paragon System funziona e convince
Un’altra componente su cui Blizzard ha lavorato incessantemente per anni, per rendere Diablo 4 valido fin dalla sua versione vanilla e senza che anni di aggiornamenti debbano per forza stravolgerne le fondamenta, è il sistema di abilità: il cosiddetto Paragon System, presentato fin dall’inizio come qualcosa che sarebbe stato capace di bilanciare l’esperienza una volta per tutte. Gli sviluppatori hanno calcato tantissimo la mano su quest’aspetto, e non è difficile capire perché. Lo skill tree di Diablo 4 dispone di 58 punti tradizionali (50 dei quali si sbloccano livellando e altri 8 completando attività disseminate per il mondo) e ben 220 “paragon points”, che sono invece legati ai livelli di eccellenza, ossia quelli che vanno dal 50 al 100.
Le prime 58 abilità, suddivise in vari rami secondo un percorso logico che va dagli attacchi base a quelli più potenti, passando per skill difensive o di evasione, non sono che l’inizio, una sorta di fondazione su cui poi andare a costruire finemente la propria build, grazie ai punti eccellenza. Questi ultimi sono legati a svariati tabelloni a nido d’ape, liberamente intercambiabili e ruotabili, per connettersi in vari modi a quello iniziale e creare una sorta di catena, il cui unico limite è rappresentato dal fatto che ogni nodo deve essere collegato a quello precedente.
Benché molti nodi facciano riferimento a un parametro principale, tra forza, intelligenza, destrezza e volontà, il tutto va oltre il semplice potenziamento lineare degli attributi: alcuni nodi migliorano i danni (fisici o magici), altri le resistenze, e così via: così facendo è possibile creare setup davvero unici, visto che già di default le combinazioni possibili (senza neppure andare a scomodare l’equip) sono migliaia. Da notare che anche i punti paragon, a differenza di Diablo 3 (dove si poteva continuare a sbloccarli all’infinito) hanno un numero finito, il che pone un freno al limite teorico degli upgrade, e, almeno in teoria, sul lungo periodo – nell’ordine di anni – dovrebbe impedire la possibilità di rompere in modo eccessivo il sistema di gioco.
I tabelloni, infine, possono essere personalizzati con i glifi, potenziamenti che vanno droppati e incastonati nei relativi nodi, e che premiano per esempio chi decide di investire verticalmente in uno dei quattro parametri (per esempio, forza o volontà per il barbaro, intelligenza per l’incantatore, e così via), fornendo ulteriori miglioramenti passivi, oppure, in alternativa, offrono buff alle capacità attive del personaggio, qualora quest’ultimo abbia investito particolarmente in alcune skill piuttosto che altre. O ancora, sono in grado di potenziare passivamente tutti i nodi nelle vicinanze.
Il vero Diablo 4 comincia quando la storia finisce
Il cuore di Diablo, lo sappiamo bene, si svela nell’esatto momento in cui si conclude la campagna principale, e Diablo 4 non fa eccezione. A Kyovashad, la città principale della prima regione, si può modificare il livello del mondo, scegliendo tra quattro diversi tier: i primi due, Avventuriero e Veterano, sono utili a livellare fino al 50, mentre gli altri due presenti al lancio, ossia Incubo e Tormento, vanno attivati quando ci si vuole dedicare seriamente all’endgame (il world level 3 è consigliato per giocatori dal 50 al 70, mentre il 4 va dal 70 in poi, anche se i più temerari potranno provare a sbloccarlo anche prima).
A partire dal tier 3, la mappa del gioco viene completamente stravolta, e, se prima ci si dedicava a storia, quest secondarie e di tanto in tanto qualche dungeon, ora si ha accesso ad una pletora di nuove possibilità; per sbloccare Nightmare e poi Torment dovrete prima portare a termine un dungeon speciale, a mo’ di test delle vostre capacità di sopravvivenza.
I due sistemi di cui farete la conoscenza inizialmente sono la marea infernale e le casse premio dell’Albero dei Sussurri. La marea infernale non è altro che una zona specifica scelta casualmente a rotazione (non sempre, durante il giorno, ne è attiva una), in cui per diverse decine di minuti i nemici diventano molto più forti del normale, e in cui l’obiettivo principale è quello di ottenere braci per cercare di aprire una delle casse sparse in giro, che potrebbero ricompensarvi con oggetti leggendari (in alcune casse specifiche, visibili solo sulla minimappa e non su quella principale, il drop è garantito ed anche piuttosto generoso). Si tratta di una sfida veramente difficile, perché ogni volta che morirete perderete un bel po’ di braci: sarà fondamentale, quindi, che ve le teniate belle strette e ne utilizziate il più possibile prima della fine del tempo, considerato che non potrete conservarle fino alla marea successiva.
L’Albero dei Sussurri, che visiterete anche durante la storia, vi darà invece delle missioni da portare a termine, anch’esse attivabili a cadenza regolare durante il giorno e che riguardano principalmente l’uccisione di mostri o il completamento di specifici sotterranei o cantine, o ancora di estrazioni o altri obiettivi nelle zone PvP, di cui parleremo tra poco: una volta che ne avrete portate a termine abbastanza, potrete ricevere in cambio una cassa, che potrete scegliere tra tre tipologie che vi verranno offerte: ognuna di esse conterrà almeno un oggetto leggendario del tipo desiderato (armatura, anello, arma). È importante notare che i favori per l’albero, come contenuto post-game, non richiedono necessariamente il world rank 3, ma giocando ai primi due le ricompense ottenute saranno molto inferiori.
Una sfida brutale
All’Albero dei Sussurri, perlomeno nei world level 3/4, si lega anche il multiplayer competitivo, che è ovviamente presente anche in Diablo 4 ed è limitato entro i confini di due aree ben precise, riconoscibili perché colorate di rosso (non così intenso come quello della marea infernale in corso). In queste zone, l’obiettivo consiste nell’uccidere nemici (non necessariamente altri giocatori) per ottenere semi dell’odio, i quali poi andranno estratti in punti predefiniti per essere messi in cassaforte e utilizzati dagli specifici mercanti con cui potrete commerciare usando questa valuta: esiste, per esempio, un latore di curiosità che scambia semi dell’odio invece che oboli, oppure potreste volerli usare per sbloccare nuove skin per il transmog, da applicare su voi stessi o sul cavallo, in negozi che vengono aggiornati periodicamente.
Durante l’estrazione dei semi dell’odio dovrete ovviamente guardarvi dagli altri giocatori in carne ed ossa: i cosiddetti rogue, ossia i player considerati “pericolosi” perché particolarmente attivi nell’eliminazione dei loro rivali, vengono marchiati tramite un segnale sulla mappa, cosicché tutti gli altri, volendo, possono allearsi per cercare di farli fuori.
Marea e albero, sono le prime attività che completerete per prendere confidenza con l’endgame, ma, anche in questo caso, non sono che l’inizio. A questo punto del gioco, infatti, avrà davvero senso (a causa dei drop migliori) iniziare a fare anche gli eventi legione e i world boss. I primi sono una sorta di “roccaforti di gruppo”, con boss finale, mentre i secondi, tre in tutto, si presentano in cinque grosse arene circolari, una per ogni regione, e sono affrontabili da tutti i giocatori nelle vicinanze. I world boss droppano i prismi, che sono utili per aggiungere castoni per gemme ad armi e armature che ne fossero sprovvisti.
Ciò che avrete a disposizione nel mondo aperto, tuttavia, è solo la prima parte di quel che potete fare nel concreto per arrivare al livello 100 e droppare gli artefatti più potenti. Il culmine dell’endgame, almeno per ora e finché Blizzard non aggiungerà le stagioni (tutto ciò che citiamo in questa review si riferisce sempre e comunque alla versione vanilla di Diablo 4), è infatti rappresentato dai Nightmare Dungeon. Ricordate quando accennavamo al fatto che i sotterranei sarebbero cambiati? Ecco: dal world level 3 potrete iniziare a personalizzarli con i sigilli, veri e propri modificatori per renderli sempre più complicati e magari trovare il pezzo che vi manca e che stavate cercando da settimane.
I sigilli, che possono essere droppati o craftati dall’occultista, sono di due tipi: sacri o ancestrali, ognuno dei quali suddiviso in vari livelli e che consente di affrontare sfide con nemici “su misura” di difficoltà sempre maggiore, adatti a livelli che vanno dal 55-60 al 100. Gli attributi sacri e ancestrali sono il marchio di fabbrica dei world level 3 e 4, e indicano oggetti con statistiche generalmente migliori di quelli del WL precedente: di conseguenza, durante l’endgame dovrete puntare a sostituire tutto il vostro loot con i leggendari prima dell’uno e poi dell’altro tipo, aggiungendo gli item unici che preferite come ciliegina sulla torta (in genere, averne uno o due è importante per far funzionare al meglio una determinata build).
Nonostante tutte le parole di elogio che abbiamo speso finora per Diablo 4, è incredibile pensare che tutto ciò che gli sviluppatori sono riusciti a includere al lancio rappresenti comunque una base di quel che il gioco potrebbe diventare in futuro: un inizio estremamente più solido di quello di Diablo 3, per carità, ma ancora manchevole di tutto quel sistema stagionale previsto da Blizzard e che dovrebbe arrivare da luglio in poi.
Una cosa su cui ci auguriamo il team lavori, oltre all’introduzione di nuovi contenuti, classi, personaggi stagionali e via discorrendo, è una migliore gestione dei clan, che per il momento è piuttosto basilare e limitata all’organizzarsi per giocare insieme, senza reali sistemi o ricompense interne: in futuro, potrebbe avere senso legarla alle taverne come accade in Diablo Immortal, dove è presente anche un faction system (una delle poche cose positive dell’iterazione mobile del franchise, a onor del vero) che speriamo possa essere portato anche su D4.
Comparto tecnico e conclusioni
Prima di concludere, è obbligatorio spendere due parole sulla magnificenza visiva di Diablo 4. Ne abbiamo brevemente accennato quando abbiamo parlato della strutturazione della mappa, ma ci sembra giusto completare l’analisi con un focus maggiore sul lato tecnico. Qualunque sia la piattaforma su cui decidete di farlo girare, il titolo di Blizzard si presenta più che bene, pulitissimo e visivamente splendido. Noi l’abbiamo giocato su Xbox Series X, ma Blizzard ha ricevuto elogi anche per le versioni old gen (PS4 e Xbox One), che, pur girando a 30 FPS (720-1080p dinamici), si difendono più che bene. La risoluzione, su PS5 e Series X, va da 1296p a 2160p, e viene scalata a seconda della quantità di oggetti e particellari a schermo; su Series S, invece, è fissa a 1080p. Sulla nostra console di riferimento, inoltre, i 60 FPS vengono raggiunti e mantenuti pressoché stabilmente, con pochissimi e giustificabili tentennamenti.
Sorprendentemente (ma neanche tanto), la casa di Irvine è riuscita ad adattare piuttosto bene l’esperienza anche al pad: Diablo 4 ci è sembrato giocabilissimo anche su console, dal momento che le abilità sono assegnate a tre dei quattro tasti frontali (il quarto, cerchio/B, è demandato alla schivata) e ai grilletti: è sufficiente qualche ora di abitudine, per allenare la memoria muscolare, dopodiché sarete perfettamente in grado di muovervi ed essere a vostro agio anche con un pad, magari aiutandovi assegnando gli stessi archetipi di attacco sempre agli stessi tasti (attacco base a X/A, attacco secondario a quadrato/X, scudi/evasione a triangolo/Y e così via).
Gran lavoro è stato fatto anche sotto il profilo audio: la colonna sonora di Diablo 4 è semplicemente maestosa (qui il link a Spotify, se volete ascoltarla), e anche il sound design è in grado di farvi percepire in maniera perfetta tutta la crudezza e la desolazione di quel mondo. La localizzazione italiana, infine, ci è parsa ottima, con pochissime (se non praticamente nessuna) sbavature, cosa non comune di questi tempi: nota di merito anche per il doppiaggio, che, tra gli attori nostrani, comprende qualche nome ben noto come quello di Carlo Valli (doppiatore storico di Robin Williams). A questo giro, anche se siete soliti giocare tutto in lingua originale, vi consigliamo insomma di dare una possibilità alle voci italiane.
Infine, due parole anche sul negozio, che abbiamo volutamente lasciato per ultimo vista la sua assoluta marginalità – al momento, e per fortuna – all’interno del contesto ludico. Qui è possibile comprare skin per i personaggi spendendo soldi reali, ma tutti gli oggetti acquistabili si riconducono ad elementi estetici, che nulla hanno a che vedere con il power level: un sistema di monetizzazione sicuramente ascrivibile tra quelli virtuosi, visti i tempi che corrono (anche se i prezzi dei cosmetici sono veramente esagerati), e che ci auguriamo Blizzard mantenga inalterato anche in futuro.
Conclusioni
Al netto di tutto, Diablo 4 rappresenta una base più che solida per il tipo di esperienza che vuole essere, e questo, conoscendo i problemi e le difficoltà incontrate da Blizzard negli ultimi anni (compreso il suo stesso sviluppo), è già un mezzo miracolo. Ora ci aspettiamo che la casa americana continui a supportare la sua creatura per tanto tempo, così come già fatto con Diablo 3: la versione 1.0, infatti, non può che essere un punto di partenza (e non di arrivo) per un videogioco del genere, ragion per cui, al di là del sistema a stagioni, ci aspettiamo nuove infornate di contenuti (e anche nuovi sistemi di gioco, magari legati ai clan, che ad oggi sono troppo semplici) a cadenza regolare nei prossimi mesi ed anni. È tornata la vecchia Blizzard? Forse è ancora troppo presto per dirlo, ma in ogni caso non possiamo che farle un grosso applauso per aver davvero iniziato a lavorare seriamente per raggiungere quell'obiettivo.
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Voto ScreenWorld