Il titolo di Supergiant getta prepotentemente chi vi si approccia in un universo magico, misterioso, epico che è quello del mito dell’Antica Grecia. Da Achille a Sisifo, da Ade a Cerbero: tutte figure di cui abbiamo sentito infiniti racconti sono finalmente lì, in pixel ed ossa. Eppure, c’è qualcosa nell’epica di Hades che non fa tornare i conti. Nella nostra analisi del mito presente in Hades vedremo come e quanto sia importante la contaminazione inserita da Supergiant Games.
La rivolta di Zagreus
I presupposti narrativi già fanno intendere che Hades non è la solita storia dell’eroe intento in nobili imprese. Non accompagneremo un Ercole attraverso le sue dodici fatiche, ma guideremo il figlio del re degli inferi nella sua fuga dall’oltretomba. Fuga che si rivelerà essere anche, e soprattutto, fuga da responsabilità, da un contesto scomodo, fuga da sé.
La verità è che Zagreus odia essere figlio di Ade. Odia le aspettative che gli vengono proiettate addosso dal padre, pesanti come il masso di Sisifo. Ed è così decide di disfarsene, di cercare quella che lui ritiene la sua vera famiglia, il suo posto nel mondo: l’Olimpo. Una rivolta, una ribellione di un ragazzo che cerca nuove opportunità, e che non si accontenta di reggere il peso di un mondo che sente non appartenergli. Insomma: il dramma familiare, generazionale e una narrazione di formazione entrano bruscamente nell’universo apparentemente inscalfibile della mitologia. È quella che chiameremmo una contaminazione.
Nulla di umano mi è estraneo
La materia epica di Hades viene costantemente contaminata da una narrazione fittissima di drammi puramente umani, proposti nel modo più naturale e vicino a noi possibile. Nulla che abbia a che fare con le grandi storie cosmogoniche che riguardano gli dèi dell’Olimpo. Gelosia, ira, sentimento di rivalsa, ironia persino: tutta la tavolozza dell’umano investe i personaggi, “abbassando” il mito alla nostra portata. La contaminazione del mito ha una lunghissima storia, risalente quasi alle origini dei miti stessi, viaggiando con loro di pari passo. Perché è affascinante eccome assistere a scontri tra titani, ma dall’altro li percepiamo lontani, diversi, fuori portata, non ci immedesimiamo. Cosa diversa se ad esserci raccontata è la parte umana di eroi come Achille e Patroclo – ad esempio – al di fuori del loro “costume epico”. Ed in questo, il tono pop, fluorescente e fresco dell’estetica di gioco, è una componete fondamentale.
L’incredibile immaturità degli déi
Eppure, ci pare di ricordare che le divinità greche non fossero tutte così infallibili e perfette. Sono diversi i racconti in cui la fanno da padrone sentimenti umani, per lo più distruttivi: le brame di Zeus, la gelosia di Era, la rabbia di Afrodite, e così via. Numerosissime le storie di vendetta, o di semplici dispetti, punizioni, guerre per un nonnulla: storie che mostrano la volubilità degli dèi stessi. Ebbene, in Hades tutte le divinità sono proprio come ce le ricordavamo, ma anche di più: spogliate del loro tono altisonante ed autoritario, sono tutte prese da questioni più o meno futili, bramano la salita di Zagreus eppure non sprecano un momento se si tratta di fargliela pagare, anche per “gioco”.
Zagreus è un compagno di viaggio
In questa operazione, il fatto che Hades sia un videogioco è estremamente importante.
Probabilmente, se l’avessimo vista o letta, l’epopea di Zagreus non ci sarebbe risultata così… nostra. Già, perché accompagnare un personaggio per mano – letteralmente – vivere su pelle assieme a lui tentativi, morti, dolori, momenti di respiro è un’altra cosa.
Attraverso quella sorta di identificazione inevitabile che lega giocatore e personaggio, l’empatia è totale, l’immedesimazione con Zagreus – ma anche con tutti gli altri personaggi e le loro storie – investe ogni angolo dell’Oltretomba. Sentiamo allo stesso tempo che Achille, Orfeo, Megera, Zagreus stesso, potrebbero essere tranquillamente nostri conoscenti e compagni di viaggio: la loro patina di divinità si frantuma al cospetto della loro umanità.
L’epica della rigiocabilità
Una storia mitica, epica, è una storia speciale, che è tanto più preziosa quanto irraggiungibile ed unica. Eppure, è proprio nella sua replicabilità che Hades dà il meglio di sé nel rivestire il giocatore delle vesti di eroe epico. Ad ogni nuovo tentativo di fuga, c’è qualcosa di nuovo da esplorare, nuove battaglie da affrontare, e il videogiocatore, a metà tra Achille ed Ulisse, non esita nel gettarsi in questo vortice. Ogni nuova run fa fiorire in noi un nuovo amore per l’avventura. Amore che non solo ci porta a un desiderio di miglioramento sul piano del gameplay, ma ci trascina ad impegnarci in tutte le altre quest dell’avventura, più per una sincera fame di storie che per puro completismo. Perché a differenza di Orfeo, il giocatore può ritentare quanto vuole. Un sentimento, potremmo dire, eroico.
La storia infinita
Ma non solo: l’eroico è proprio nel nuovo tentativo di fuga, nell’ostinato provare e riprovare. Un po’ come accade in Dark Souls, il giocatore è chiamato a scrivere la storia, a ri-scrivere un mito contaminato di umanità.
E qui la natura randomica ed imprevedibile dell’avventura di Hades – che è anche ciclica, come a Lordran – si trasforma in un inno alla sfida – al labirinto direbbe Calvino –, in un inno all’avventura e alla narrazione che si rinnova ad ogni partita, ad ogni run. Ad ogni tentativo di fuga, stiamo raccontando il nostro mito, la nostra run, il nostro tentativo di fuga, che in realtà è un tentativo di ritorno, per ogni giocatore, ad una dimensione sospesa tra l’eroico e l’umano, tra il mito e il videogioco.