Alzi la mano chi si sarebbe aspettato un futuro diverso per i videogiochi cosiddetti “always online” dalla tempolinea in cui ci troviamo al giorno d’oggi. Pochi, ci auguriamo, anche perché bisogna ammettere che prevedere quanto sarebbe successo negli ultimi anni era tutto sommato facile. Nel mondo post-pandemia, ci si è ritrovati di fronte uno scenario molto diverso da quello che era anche solo una generazione fa, uno scenario in cui i gusti del pubblico, come in una sorta di presa di coscienza collettiva, sono profondamente cambiati, e la game industry si è dovuta adattare di conseguenza.
Ci ha messo diversi anni, ma alla fine sembra ci stia riuscendo, tolto qualche irriducibile highlander come Suicide Squad, che ancora nel 2023 spera di avere successo andando a competere su un terreno sempre meno amato dai giocatori. Oggi, però, più che di quello vogliamo parlare di Marvel’s Avengers, uno tra gli ultimi ad arrendersi e a chiudere baracca e burattini (e no, non ci riferiamo ai supereroi in calzamaglia).
Quello di Crystal Dynamics era un progetto concepito e pubblicato in un momento in cui videogiochi di questo tipo erano già sul viale del tramonto, e sempre più persone tra giocatori e addetti ai lavori si stavano accorgendo che, nell’aggiungere logiche da MMORPG a titoli che in larga parte avrebbero funzionato molto meglio evitando di incorporare mondi online persistenti e contenuti periodici, qualcosa è andato terribilmente storto nella maggioranza dei casi (e questo è uno di quelli). Parliamone, dunque, ben lungi dal voler limitarci a sparare sulla croce rossa, ma con l’intento di analizzare dinamiche e concause che hanno portato al fallimento di Marvel’s Avengers, in un periodo storico che, a nostro modo di vedere, rappresenta un punto di non ritorno per i live service.
Un fallimento (in buona parte) annunciato
Col senno di poi, senza girarci troppo attorno, ci verrebbe da dire che Marvel’s Avengers sia stato realizzato tanto per cavalcare l’ondata di popolarità dei live service e cercare di combinare un universo popolarissimo con una tipologia di videogiochi che hanno avuto il loro momento di gloria a partire dal 2014, anno di nascita di Destiny, fino massimo (e non oltre) il 2018. Capirete bene da soli, quindi, che se si arriva sul mercato a metà 2020 (agosto, per essere precisi) cercando di imitare – talvolta anche piuttosto goffamente – dinamiche inserite in produzioni concepite anche un decennio prima, si incappa in un problema di fondo piuttosto serio.
Crystal Dynamics venne finanziata nello sviluppo da Square Enix, e anche questo è un elemento che a posteriori fa capire quanto in realtà la casa madre avesse ben poche aspettative sulla tenuta a lungo termine di quanto prodotto: il publisher giapponese, infatti, si è di recente liberato di tutte le sue divisioni occidentali, vendendo proprietà intellettuali come Deus Ex e Tomb Raider a Embracer Group, dopo anni di stallo e di totale confusione sul futuro che i rispettivi franchise dovevano prendere. In questa situazione, un po’ confusionaria, partire con un nuovo progetto di questo tipo non dava di certo adito a pensieri ottimistici, per usare un eufemismo.
Come accennavamo, la lavorazione di Marvel’s Avengers è iniziata nell’esatto momento in cui Destiny (il primo) viveva i suoi anni migliori, tra il 2015 e l’inizio del 2017. Si è trattato, in questo caso, di una semplice emulazione, che tentava di prendere di peso quella formula e sposarla al Marvel Cinematic Universe, creando una sorta di universo condiviso con i videogiochi del franchise diretto da Kevin Feige.
Ciò che è mancato, però, è stata la pianificazione: se Bungie, o anche Ubisoft nel caso del primo The Division – solo del primo, però – avevano studiato formule di gioco che potessero risultare credibili e coinvolgenti fino in fondo, tenendo attaccati i giocatori sul lungo periodo, gli sviluppatori di Marvel’s Avengers non seppero fare altrettanto, confezionando un videogioco che poteva risultare divertente nelle prime decine di ore, ma che veniva poi presto a noia (su questo torneremo tra poco).
Con ciò non stiamo dicendo che il “Marvel Gaming Universe” sia nato e intenda proseguire un po’ sulla falsariga del videogioco dedicato agli Avengers, perché in realtà di buoni videogiochi dedicati ai supereroi Marvel Studios se ne sono visti negli ultimi anni: tra gli ultimi esempi, l’ottimo Marvel’s Midnight Suns, RPG tattico di Firaxis (veri e propri maestri del genere).
Anche in casa propria, insomma, Marvel’s Avengers è e sarà destinato in futuro a rimanere un po’ un brutto anatroccolo, il videogioco che – un po’ per colpa sua e un po’ perché il mercato è poi andato in tutt’altra direzione – non ne ha imbroccata una giusta, limitandosi a mettersi in scia ad un genere senza però sapere bene come farlo.
Un videogioco brutto. Ma anche bello. Ma anche brutto
A posteriori, da un punto di vista pratico, cos’è quindi che non è andato? Molti dei fallimenti di Marvel’s Avengers sono imputabili al supporto a medio-lungo termine che ha ricevuto, sintomo probabilmente dell’inesperienza di Crystal Dynamics nel gestire un progetto che richiedeva nuove e costanti iniezioni di contenuti a cadenza periodica.
Al lancio, per intenderci, il gioco non era neanche male. La campagna in singolo era incentrata su un filone narrativo mai visto al cinema, ma soltanto nelle serie a fumetti, con personaggi anche molto recenti, come Kamala Khan (Ms. Marvel) e una strutturazione abbastanza tradizionale ma godibile, che girava attorno alla solita battaglia contro i supercriminali di turno.
Nella campagna originale si arrivava a sconfiggere MODOK, mentre in seguito sono state introdotte svariate espansioni per la storia, legate a personaggi come Hawkeye, Black Panther, Spider-Man, Thor e Jane Foster, il Soldato d’Inverno, passando per la contesa del Cubo Cosmico: in generale i vari archi narrativi sono stati tutti piuttosto godibili, in parte complementari a quanto visto al cinema (e soprattutto distribuiti tramite aggiornamenti gratuiti), oltre che in grado di espandere notevolmente i contenuti legati alla trama in sé e per sé. Da questo punto di vista il gioco è stato portato avanti abbastanza bene e in maniera competente, con grande amore per l’universo originario: peccato che le aggiunte narrative, con campagne sì lineari e semplici ma anche cinematiche e spettacolari, siano rimaste sostanzialmente l’unico pregio del supporto post-lancio.
Ciò che non ha funzionato è stato il sistema di gioco in sé: Crystal Dynamics non ha fatto nulla (e ripetiamo: NULLA) per arricchire una struttura di gioco che già tre anni fa, dopo qualche decina di ore, tendeva a diventare estremamente tediosa e ripetitiva. Lo scheletro action del titolo, incentrato sullo sblocco e il potenziamento dei vari eroi, era anche divertente di per sé, e infatti ciò che teneva incollati nelle prime ore era sostanzialmente il poter scatenare le abilità dei propri beniamini e fare terra bruciata attorno a sé.
Tutto il resto, però, era di una tale banalità e ripetitività da far rabbrividire.
Il problema era ravvisabile già nella modalità storia, composta perlopiù di missioni in cui si andava dal punto A al punto B eliminando orde di nemici e alternando fasi di combattimento a semplici sezioni platform: questo copione, peraltro, si ripeteva anche nelle espansioni, con uno schema che non riusciva mai ad offrire sufficiente varietà né si adattava granché alle abilità peculiari dei vari eroi che sono poi stati aggiunti nel corso del tempo.
Se ciò si poteva perdonare alle campagne narrative, le quali duravano solo qualche ora, il peggio veniva dopo: il gioco, infatti, aveva un endgame che non è mai riuscito, nel corso dei passati tre anni, a tenere incollati i giocatori a lungo termine, soffrendo di un’emorragia di utenza iniziata già nei primi mesi e che gli sviluppatori non hanno fatto nulla per cercare di arginare e magari invertire.
Endgame, questo sconosciuto
Sembra quasi una beffa parlare di “endgame” in relazione a Marvel’s Avengers, visto che il film più di successo del franchise cinematografico, oltre che secondo per incassi nella storia del cinema, porta proprio questo titolo, eppure i più grandi disastri della produzione si ritrovano proprio qui. Prendete una struttura che a lungo termine diventava piuttosto piatta e unitela al fatto che gli sviluppatori non abbiano fatto sostanzialmente nulla per invertire la tendenza nel corso del tempo: già così avrete ottenuto una combinazione micidiale, di per sé sufficiente per spiegarne il fallimento.
Che Crystal Dynamics avesse tirato i remi in barca già un annetto dopo l’uscita è diventato particolarmente evidente nel momento in cui, invece di aggiustare dinamiche di gioco poco funzionali, il team ha preferito puntare tutto sullo shop interno al gioco, che ha iniziato a riempirsi di contenuti estetici sbloccabili tramite microtransazioni.
Guadagnare tramite le nuove skin, infatti, era il modo ritenuto più semplice da un reparto marketing e pianificazione poco lungimirante (per usare un eufemismo) per finanziare i successivi contenuti, considerato che le espansioni venivano proposte gratuitamente. Il team di sviluppo, però, si è spinto davvero oltre ogni limite, iniziando a riempire il negozio di reskin degli stessi personaggi e vendendole a prezzi esagerati, segno che l’intenzione, negli ultimi mesi di vita del progetto, era proprio quella di spingere il più possibile su un sistema di monetizzazione decisamente poco a fuoco, dimenticandosi deliberatamente di tutto il resto. Non molto furbo, diremmo noi.
Ma i segni che la direzione del progetto stesse andando alla deriva erano evidenti ben prima che il gioco cominciasse ad essere subissato di critiche sulle microtransazioni. Già nelle prime espansioni, infatti (al di là dell’elemento narrativo, sempre ben gestito), gli sviluppatori avevano iniziato a copiare e incollare in maniera quasi ossessiva gli stessi principi di design, costringendo i giocatori a ripetere missioni tutte uguali, senza mordente né un minimo di diversificazione, cose che invece altri game as a service del passato (dal ciclo vitale molto meglio gestito) avevano saputo offrire, e, nel caso di Destiny, continuano a farlo, per esempio con meccaniche di squadra impegnative e soddisfacenti e una filosofia che valorizza il completamento di determinate attività in gruppo. Ecco, nulla di tutto ciò è presente in Marvel’s Avengers.
Anche progredire nel gioco, sbloccando nuovi oggetti e potenziando i personaggi, diventava alla lunga un’attività del tutto fine a sé stessa, visto che l’avventura – a posteriori – non ha mai offerto contenuti talmente impegnativi da giustificare il minuzioso potenziamento del proprio arsenale. E perfino gli alveari, che pure dovevano rappresentare l’endgame finale, si sono rivelati un buco nell’acqua, con tutti i successivi contenuti di pari livello che non sono riusciti a correggere il tiro. Il maggior difetto del gioco stava nella sua totale assenza di complessità e di stratificazione, anche nei contenuti più impegnativi, che non erano altro che un banalissimo “DPS check” e che, se completati, non ricompensavano i giocatori in maniera adeguata.
Tutto ciò era infatti legato ad un sistema di loot totalmente insufficiente, privo di elementi un minimo complessi e soprattutto di un RNG valido. Mettersi lì a ripetere le stesse missioni per sbloccare gli oggetti giusti, in Marvel’s Avengers, non solo non era soddisfacente nei primi mesi dopo il lancio, ma non lo è mai stato.
Un monito per il futuro
Con un gameplay di base così frenetico e dinamico, sarebbe bastato relativamente poco per offrire un prodotto più coinvolgente e a fuoco, ma Crystal Dynamics ha sbagliato sostanzialmente quasi tutto, rimanendo sorda alle critiche e ai feedback di una community disperata. Quest’ultima, nel tempo, non ha potuto far altro che abbandonare progressivamente il gioco, tanto che già lo scorso anno trovare un gruppo per lanciarsi in qualche attività era una vera e propria impresa, e solo negli orari di punta i server si popolavano un po’. Marvel’s Avengers, insomma, si è espanso in “orizzontale”, aggiungendo sì nuovi contenuti, ma rinunciando fin da subito a migliorare una struttura problematica, chiaramente non pensata per reggere così a lungo.
È chiaro che, proprio come altri live service usciti negli ultimi anni e falliti miseramente dopo poco, il progetto di Square Enix e Crystal Dynamics possa rappresentare un insegnamento e un monito non da poco per l’industria, sul fatto che spesso e volentieri bisognerebbe imparare ad ascoltare di più il proprio pubblico e soprattutto essere ricettivi nei confronti di ogni minimo cambiamento nelle tendenze e nei contenuti più popolari.
A nostro modo di vedere, sono esistite due “generazioni” di videogiochi online persistenti: la prima, che è stata quella che ha saputo sfruttare l’effetto novità nel modo migliore, con diversi titoli che sono “esplosi” e che ancora oggi possono vantare un successo enorme (tra cui per esempio Fortnite), e la seconda, che è stata una vera e propria carneficina di progetti fallimentari, dalla quale praticamente il solo Destiny 2 (forte di un universo amatissimo e di una community appassionata) è riuscito a salvarsi.
Marvel’s Avengers, dal canto suo, rappresenta un triste esempio di come non andrebbe mai sviluppato un videogioco del genere, cercando di far leva unicamente sull’appeal dato dalle storie e dai personaggi che popolano l’universo di riferimento, appiccicandovi con lo sputo dinamiche di gioco prese qua e là dai competitor e rinunciando già a priori (e in maniera piuttosto palese) a qualsiasi tentativo di rimettere il progetto in carreggiata.
Un titolo gettato volutamente alle ortiche, come una sorta di agnello sacrificale, dei cui fallimenti ci auguriamo che la game industry faccia tesoro, per imparare a non ripeterli mai più in futuro.