Giocare e rigiocare una saga unica nel suo genere come Monster Hunter può aprire un portale che conduce a riflessioni interessanti. E la recente uscita di Rise su Xbox Game Pass non fa altro che potenziare tali idee. Oggi parliamo del tema della caccia nel videogiochi, vi va?
Che la caccia abbia inizio!
Era il 2018, e Monster Hunter World apriva al mondo mainstream una saga che fino ad allora era solo appannaggio di nicchia. Cacciare mostri è un’attività dall’alto grado di sfida, stimolante in ogni sua fase: preparazione, ricerca, inseguimento ed abbattimento mantengono alta la concentrazione, in un ciclo di adrenalina e senso di realizzazione difficilmente eguagliabile. E infatti svecchiare alcune meccaniche un po’ legnose, semplificare interfaccia e gameplay si rivelò una scelta vincente quando due anni fa un nuovo titolo della saga approdò su Nintendo Switch. Rise ha fatto tesoro sia dei punti forti del franchise, sia degli insegnamenti di World. Pur non essendo estremamente votato all’accessibilità verso nuovi videogiocatori è riuscito a replicare il successo del suo predecessore.
Ma facciamo qualche passo indietro. Nel 2015, a pochi mesi di distanza (rispettivamente a marzo e maggio), uscivano Bloodborne e The Witcher 3: Wild Hunt. Gameplay, atmosfera e temi trattati di questi giochi sono molto distanti tra di loro, infatti è anche raro (se non impossibile) sentirli nello stesso discorso di appassionati. Eppure c’è questa cosa della caccia, che dimostra tutto il suo fascino e le sue potenzialità evocative.
Incubi divenuti realtà
In Bloodborne la caccia è quasi un rituale. È catartica, scaramantica… Una difesa disperata dall’avanzata inevitabile di una malattia incomprensibile. E così per sconfiggere i mostri che ci minacciano le soluzioni sono due: o imitare la loro bestialità, ritorcerla contro con violenza, o distanziarsi il più possibile, elevandosi verso i Grandi Esseri. Le battaglie in Bloodborne – in particolare quelle contro i boss – sono un cocktail esplosivo di concentrazione, ansia ed adrenalina. Sappiamo che, non potendo usare uno scudo – se non quello d’assi, inutile -, dovremo fare del nostro meglio per prevedere e schivare gli attacchi del nemico. Ma potremo prevedere fino ad un certo punto: soprattutto al primo tentativo non sapremo cosa potrà succedere durante la lotta, visto che la maggior parte dei boss all’interno del gioco prevede più fasi e trasformazioni.
In the Witcher 3 la Caccia è proprio nel titolo: Wild Hunt. Qui però non saremo unicamente dei cacciatori di abomini e minacce. A braccarci sarà la Caccia Selvaggia, corteo spettrale diventato celebre all’interno della mitologia europea. I nostri inseguitori hanno sia un importante ruolo all’interno della trama, ma influiscono notevolmente nel ritmo del gameplay. Stiamo comunque parlando di un open world in free roaming, ma gli incubi e le storie su questo macabro mito, insieme all’ansia di ritrovare Ciri, ci spingeranno fortemente verso il completamento dell’interessante main quest del gioco.
La caccia, da meccanica di gameplay a carburante narrativo
Che sia follia, che siano incubi, ansia o la pura frenesia, quello che accomuna il tema della caccia in questi tre titoli è la concentrazione adrenalinica, un che coinvolge mente e corpo, e che crea la magia di un’immersione pressoché totale. Così la caccia da meccanica di gameplay si trasforma in carburante narrativo, una concretizzazione delle nostre paure che ci spinge a chiederci cosa ci aspetterà dietro al prossimo muro di nebbia, quale sarà il prossimo mostro che minaccerà il nostro equilibrio… Cosa succederebbe se per un attimo smettessimo di fuggire e decidessimo di affrontarle?