The Legend of Zelda, Silent Hill, Crash Bandicoot, Halo… Perché continuiamo a giocare e ad apprezzare i classici? Qualcuno potrebbe parlarvi di nostalgia, altri direbbero che sono degli enormi prototipi del contemporaneo, ma la verità va ben oltre. Ed opere come Tunic ne sono la perfetta dimostrazione. Per un lasso di tempo abbastanza ampio è stato sviluppato da una sola persona: Andrew Shouldice. I lavori iniziano nel lontano 2015, e successivamente (tra il 2017 ed il 2018) il programmatore canadese si è visto affiancarsi da un piccolo team di supporto, per poi arrivare alla pubblicazione con Finji nel marzo 2022 su Windows e su Xbox Serie X/S in esclusiva temporale console. Su PlayStation 4 e Playstation 5 verrà rilasciato a settembre 2022.
Si tratta di un action-adventure ricco di puzzle e di riferimenti a The Legend of Zelda, con una spruzzata di elementi “soulsiani”. La frase che avete appena letto allo stesso tempo riassume e racconta cosa ci si può aspettare da questo titolo, ma d’altra parte ne appiattisce il contenuto: come vedremo nella nostra recensione di Tunic è necessario scavare un po’ più a fondo per capire di cosa si tratta.
C’era una volta…
L’introduzione di Tunic è semplice, immediata e ci permetterà di cogliere fin da subito le peculiarità del titolo: impersoneremo un guerriero volpe che, svegliatosi su una piccola spiaggia deserta, inizierà ad ambientarsi e ad esplorare l’ambiente. Non tarderemo a porci domande, le quali cresceranno esponenzialmente quando scopriremo che praticamente ogni scritta all’interno del gioco sarà in un linguaggio simil-geroglifico, incomprensibile ai nostri occhi. Le uniche linee guida che potremo avere saranno delle pagine collezionabili sparse nel mondo di gioco, scritte anch’esse in questo linguaggio sconosciuto, che rappresentano un manuale dalle illustrazioni zeldiane. Il ritrovarsi a leggere un manuale di gioco all’interno del gameplay stesso potrà sembrare qualcosa di astruso, strano, inusuale, ma possiamo assicurarvi che si tratta di una scelta ben pensata e collegata alla storia.
Ibrido, ma con un’anima e un gameplay originale
Graficamente Tunic è leggero e piacevole alla vista: la visuale isometrica, unita alle tinte pastello e all’equilibrio tra forme geometriche spigolose ed arrotondate dà la piacevole sensazione di essere in una versione ampliata e open world di Monument Valley. A ciò si aggiunge un sapiente utilizzo dell’illuminazione, e degli effetti particellari (legati soprattutto a determinate tipologie di attacchi) niente male, che si sposano bene con l’ambiente.
Ma è al livello di gameplay loop che il manuale brilla particolarmente: molte delle risposte che cerchiamo sono lì, sotto forma di enigmi, appunti, illustrazioni, informazioni che dovremo unire alla nostra osservazione dell’ambiente circostante per proseguire nell’avventura e scoprire segreti opzionali. Il tutto, grazie ad uno studio accurato dei puzzle, che non lascia nulla al caso, crea una sensazione di reward davvero unica, e riesce a coinvolgere sia chi non è abituato a risolvere enigmi, sia a sfidare i ragionatori più abili.
Il resto del sistema di gioco è abbastanza immediato da intuire e padroneggiare: dalla serie di Dark Souls si ereditano le meccaniche relative alla barra della stamina, la schivata e le statue di salvataggio, analoghe al sistema dei falò; mentre è a The Legend of Zelda che strizzano l’occhio le armi, gli strumenti ed il loro utilizzo. In effetti parlando di gameplay nudo e crudo Tunic non brilla certo per originalità, né riesce a convincere pienamente: destreggiarsi e sconfiggere nemici e boss è sì piacevole, ma sono presenti dei picchi di difficoltà abbastanza artificiali, e comunque nelle circa 10 ore di gioco richieste per arrivare ai titoli di coda senza pensare alle attività secondarie non viene introdotta nessuna novità significativa che mantenga vivo l’interesse. Insomma, sventolare la spada e lanciare magie potrebbe annoiarci presto, e tenderemo ad evitare quando possibile lo scontro, per concentrarci piuttosto sulla risoluzione di enigmi.
Parlando di enigmi, è bene approfondire quello che è il punto forte di Tunic ed elaborare il discorso che si faceva nelle prime righe di questa recensione: la cripticità del linguaggio geroglifico che troveremo in giro per il mondo di gioco, la meccanica delle pagine di manuale, gli indizi ben nascosti, ci riporteranno – a patto di non aprire un browser per cercare le soluzioni – ad un’epoca pre-internetiana, dove si poteva rimanere impelagati anche per mesi in un solo punto, dove si cercava la soluzione in ogni piccolo anfratto di mappa, oppure se ne discuteva con gli amici, scervellandosi insieme per scoprire cosa c’era “dopo”.
Conclusioni
Tornando alla nostra prima domanda, “Perché continuiamo a giocare e ad apprezzare i classici?”, potremmo affermare che, parlando di videogiochi, apprezziamo i classici per nostalgia, perché ci ricordano un’epoca d’oro ormai irraggiungibile, una safe zone, una stanza dello spirito e del tempo dove possiamo rilassarci, allenarci e ritrovare noi stessi. Quest’affermazione, seppur non totalmente falsa, risulta riduttiva. Videogiochi come Doom, Super Mario, i primi Metal Gear hanno ancora molto da insegnarci: sono un calderone di idee e potenzialità che con le tecnologie attuali possono essere sviluppate ed ampliate: oggi nello sviluppare un videogioco abbiamo meno limitazioni tecniche ed artistiche, e ciò permette di esplorare nuove strade, nuove forme di comunicazione ed interazione attraverso questo giovane medium. Tunic rappresenta questo concetto: pur ribadendo la sua matrice zeldiana nella maggior parte dei suoi elementi, riesce ad aggiungere qualcosa di suo, e a creare una sensazione di mistero sì analoga a molti videogiochi del passato, ma allo stesso tempo con un retrogusto nuovo, moderno, che ci permette di riflettere.
La recensione in breve
Insomma, Tunic è un’esperienza, un videogioco capace di regalare allo stesso tempo sensazioni nuove e ricordi. I difetti non mancano: sarebbe di certo riuscito a brillare con un gameplay più ispirato e vario, ma vale assolutamente la pena di immergersi nei suoi enigmi e misteri, per mettersi alla prova e riflettere sul futuro del medium videoludico. In ogni caso si tratta di un ottimo punto di partenza per Andrew Shouldice, da cui ci aspettiamo grandi cose per il futuro.
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Voto GamesEvolution