Cercare di riproporre esperienze videoludiche del passato in una salsa nuova, più fresca e appetibile alle ultime generazioni di giocatori non è semplice. Incorrere in errori che compromettono la natura del progetto, magari rendendolo un tributo eccessivo o un titolo dalle meccaniche poco gradevoli, in un limbo tra presente e passato, è facile. Eppure, lo studio indipendente brasiliano JoyMasher non manca un colpo: già noto per Oniken, Odallus: The Dark Call (punto di incontro tra Castlevania, Ghosts’n Goblins e Demon’s Crest) e Blazing Chrome (un Contra moderno sensazionale), ora lancia un altro titolo seguendo le orme lasciate da Shinobi e Mega Man. Ecco la nostra recensione di Vengeful Guardian: Moonrider.
Un approccio più moderno
Al contrario di quanto alcune descrizioni possano far pensare, Vengeful Guardian: Moonrider non è un metroidvania, bensì un gioco action 2D le cui meccaniche si allontanano dall’approccio moderno per ritornare alle origini e rinnovarle. Le ispirazioni chiave, come anticipato, restano Shinobi e Mega Man, ma si notano elementi in comune con Strider e Hagane più di qualsivoglia riferimento alla saga di Samus Aran. L’amore per questi titoli è evidente e JoyMasher ha messo il cuore nel rendere il suo ultimo progetto un loro erede spirituale e non un mero tributo.
Certo, i limiti si fanno sentire. Il gameplay è davvero elementare: Moonrider, il nostro eroe guerriero ninja pronto a sfidare super-soldati, armate e mostri guidati dalle distopiche autorità, si ferma ad attacchi frontali con la sua spada, salti e corse, eventualmente combinando tali gesta in mosse più potenti e variegate. Non mancano poteri speciali sbloccabili previo completamento dei livelli. Ognuno di essi viene ottenuto dopo avere sconfitto il boss corrispondente: ad esempio, da Flamestalker si erediterà il boomerang di fuoco. Ciascuna area nasconde poi dei chip, grazie ai quali si ricevono ulteriori bonus per attivare vantaggi e/o svantaggi. I primi serviranno a ripulire le zone più velocemente, ottenendo per esempio “seconde chance” quando ci si trova in fin di vita o il doppio salto. I secondi renderanno le run più ostiche, ma garantiranno punteggi superiori.
Come in Mega Man, dopo il primo livello i sei restanti possono essere affrontati in qualsiasi ordine e includono porzioni uniche: su tutti, si fa notare lo scenario cittadino con la sua sequenza a bordo di una moto, che spezza perfettamente il ritmo delle prevalenti sezioni platform. L’ambientazione di ciascuno stage è altrettanto unica e varia da foreste amazzoniche a strutture articolate ricche di trappole laser, passando per stanze allagate. Le nostre abilità – e, in certe situazioni, anche la nostra pazienza – verranno messe a dura prova, dovendo affrontare uno o più mini-boss prima del super-soldato a noi contrapposto, pronto a difendere lo stato totalitario costi quel che costi.
Moonrider ha un potenziale sprecato?
Il team di sviluppatori è riuscito a concepire boss con schemi d’attacco unici, sempre spettacolari nel design e la cui comprensione non è mai così immediata. Peccato che, una volta inquadrato il ciclo di mosse, diviene eccessivamente semplice aggiudicarsi la vittoria e passare allo scontro successivo. Con la giusta strategia e riflessi felini possono bastare anche due tentativi al fine di liberare lo stage, simbolo di un approccio trial and error tutto sommato gradevole ma sul quale si poteva osare di più, alzando il grado di sfida.
Un giocatore già ferrato può chiudere la pratica di ciascun livello con estrema velocità: alcuni di essi possono essere superati in appena 10-15 minuti, mentre il tempo medio sale a 20 minuti pur esplorando ogni angolo alla ricerca delle stanze segrete e sconfiggendo tutti i nemici sparsi per la mappa. In poche circostanze sono richiesti circa 30 minuti, a meno che Vengeful Guardian: Moonrider non sia il primo titolo del genere a cui ci si approcci.
Gli intermezzi legati alla storia, narrata integralmente in italiano, sono oltretutto secondari: in fin dei conti, noi guidiamo Moonrider semplicemente per salvare l’umanità dai tiranni al potere rifiutando lo scopo per cui l’eroe è stato creato, ovvero difendere il potere stesso. I confronti a parole tra Moonrider e i suoi ex-colleghi eroi contengono messaggi alquanto banali, mentre le brevi slide di immagini – sempre realizzate con meravigliose pixel-art, ancora più godibili se si attiva il filtro CRT nelle impostazioni di gioco – non celano informazioni che capovolgono la comprensione delle vicende. In breve, questa soluzione adottata da JoyMasher conferma il focus sul gameplay piuttosto che sulla narrazione.
Questi dettagli ci portano a una prima considerazione: il gioco poteva essere molto di più, o forse doveva, dato il prezzo base fissato a 16,99 euro su Steam, PlayStation Store e Nintendo Switch. L’avventura con Moonrider può essere conclusa in due ore e mezza, massimo quattro o cinque se si desidera raccogliere tutti i chip lasciati da parte, o sei ore per coloro che vogliono raggiungere i rank più elevati su ogni mappa e platinare il gioco. Evidentemente Vengeful Guardian: Moonrider nasce come breve esperienza nostalgica agli occhi del team brasiliano, senza risultare pretenzioso ed eccessivo, bensì cercando il bilanciamento giusto tra difficoltà e lunghezza per chi non ha mai avuto modo di vivere l’era di Shinobi e Mega Man rispettivamente su sistemi Sega e NES.
Pertanto, come seconda considerazione, dobbiamo ammettere che Vengeful Guardian: Moonrider raggiunge questo traguardo e si afferma un gioco action platform a 16-bit come pochi altri proposti negli ultimi anni. È breve, sì, ma è un concentrato di bellezza, frenesia e nostalgia. JoyMasher, ancora una volta, conferisce a un suo gioco il giusto feeling retrò senza eccedere e senza mancanze. Il potenziale forse sprecato, in fondo, è forse un desiderio non esaudito.
La recensione in breve
Vengeful Guardian: Moonrider è un piacevole tuffo nel passato, realizzato egregiamente da JoyMasher: lo studio brasiliano riesce a offrire un’avventura al livello dei classici ai quali si ispira, avvicinandoli alle nuove generazioni grazie a un approccio più moderno. Purtroppo è eccessivamente semplice e breve; ciononostante, riesce a divertire non poco e risultare autenticamente retrò. Non è soltanto una lettera d’amore ai progetti ai quali si ispira, bensì il loro erede che, pur essendo un progetto una tantum, può piacere sia ai neofiti, sia alla vecchia guardia.
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Voto GamesEvolution