Credo che la Loggia Nera sia un luogo interdimensionale molto accogliente. Nascosta da un lussuoso tendaggio rosso, è retroscena della realtà ma anche palcoscenico dei sogni. Con il suo pavimento a zig zag, le poltrone di pelle usurate, due lampade a stelo e un’opera d’arte sullo sfondo, quasi dimenticata, quasi elemento di scena. Un luogo liminale, diremmo oggi, un passaggio infinito verso chissà dove.
Quando David Lynch l’ha pensata per la prima volta, era appoggiato al telaio bollente della sua auto appena spenta, in una fredda serata invernale. L’ha raccontato in un’intervista, volendo forse intendere che gli ricordava una sensazione piacevole, un tepore, un luogo familiare. Forse, ecco, con Lynch non è mai facile capire cos’è che intendesse. Ma senz’altro si tratta di una stanza parimenti spaventosa e placida. Nella quale avvengono orrori inenarrabili ma anche rivelazioni fondamentali. Dev’essere per questo motivo che Lynch ci ha messo dentro l’eroe della sua serie televisiva, Twin Peaks, per un quarto di secolo, ventisei anni a dire il vero, prima di tirarlo fuori una volta per tutte. Dal 10 giugno 1991, la messa in onda dell’ultimo episodio della seconda stagione, fino al 21 maggio 2017, l’arrivo della terza.
Iniziamo a tracciare un parallelo. Un po’ come la Loggia Nera, o la Red Room, anche il Luogo Buio di Alan Wake è un posto familiare. Per Alan, per esempio, il protagonista del titolo Remedy, è la stanza dello scrittore, ovvero lo studio dove ha dato vita ai suoi capolavori: noir tesissimi che raccontano la vita sofferta di un poliziotto che lotta contro la corruzione e la mala. Per Saga Anderson, l’altra protagonista di Alan Wake 2, è il suo “palazzo mentale”, una stanza metafisica dove lei, agente dell’FBI, ordina ogni elemento della sua vita e del suo lavoro. Nonostante sia una prigione, quindi, anche il Luogo Oscuro assume i contorni di un ambiente pacifico, di passaggio tra il nostro mondo e l’Altrove. Non del tutto sgradevole. Alan ci è rimasto intrappolato per 13 anni, ovvero quelli trascorsi dal 2010, l’anno di uscita del primo capitolo, al 2023, oggi, quando finalmente abbiamo messo le mani sul sequel.
Alan Wake 2 e Twin Peaks 3: un’Odissea destinata a durare
Ventisei e tredici anni, lo stesso espediente narrativo: trasformare questo tempo trascorso per motivi puramente produttivi in un elemento diegetico. A dire la verità Lynch, con quel piglio genialoide che l’ha sempre contraddistinto lo aveva già inserito, in tempi non sospetti, facendo pronunciare alla sua Cassandra con le sembianze di Laura Palmer: “ci rivedremo tra 25 anni”.
In ogni caso, in questo lasso di tempo, entrambe le opere hanno beneficiato di un processo di riconoscimento da parte del pubblico che le ha trasformate in due prodotti di culto assoluto, tanto che sia David Lynch che Sam Lake, l’autore dei giochi Remedy, hanno beneficiato della più grande grazia concessa a un artista: un patrocinio completo e totalmente incondizionato. Rispettivamente Showtime ed Epic Games mossi da puro mecenatismo hanno concesso un budget senza vincoli di produzione. In sostanza sia Twin Peaks 3 che Alan Wake 2 sono opere libere, esattamente come le volevano i loro autori. Fin nei più piccoli dettagli.
In effetti nulla in questa storia è inserita per caso. Nemmeno questa epifania produttiva di cui entrambi i prodotti sono protagonisti. Twin Peaks e Alan Wake sono opere di sovrapposizioni: di storie dentro ad altre storie, di realtà alternative e di trappole mentali, di prigioni fisiche e di spazi irrazionali, così inafferrabili che diventa impossibile definirli. In sostanza in tutti e due i casi, la Loggia Nera e il Luogo Oscuro diventano ben presto il punto di partenza di un’Odissea che narra il ritorno dell’eroe, destinata a durare e perdurare lungo tutta l’opera e forse anche oltre. Perché è difficile se non impossibile stabilire i confini del razionale quando si parla dell’onirico.
Chi è il sognatore?
Twin Peaks 3, che ripudia in fretta ogni parvenza “televisiva” assunta con gli episodi precedenti disconoscendo i tempi, la struttura e perfino la narrazione romanticizzata, vive di una costante sovrapposizione tra realtà e finzione, tra onirico e tangibile. In un episodio David Lynch, che fino a quel momento ha vestito i panni di Gordon Cole, agente dell’FBI, sembra dimenticare di essere un personaggio e compare come se stesso, seduto a tavola con l’attrice Monica Bellucci. L’italiana gli chiede: se questo è un sogno, chi è il sognatore? Una frase che ritorna spesso, che ci insegue dai tempi in cui Phillip Jeffries, AKA David Bowie, se lo domandava in Fuoco Cammina con Me. Ce la ripetono i personaggi, sovraimpressi nelle scene, come fossero riflessi sullo schermo dell’apparecchio televisivo. Come se appartenessero al nostro mondo. Una catena metareferenziale che mette in discussione il concetto stesso di fiction. Alla ricerca di una realtà sempre più traballante, come il riflesso increspato di una pozzanghera di olio scuro circondata dai sicomori. Ovvero il “rituale” che i personaggi compiono in Twin Peaks per entrare nella dimensione degli spiriti e che tanto somiglia a quelli che Saga Anderson ordisce per mettersi in contatto con Alan.
In quel riflesso vive anche Alan Wake 2. Si può giustapporre con un certo grado di fedeltà l’incipit del gioco all’inizio di Fuoco cammina con me: due agenti dell’FBI arrivano a Bright Falls per indagare su un omicidio e ben presto capiscono di avere a che fare con un caso fuori dall’oridnario. Uno dei due agenti è Alex Casey, ovvero Sam Lake, ovvero l’autore del gioco. E poi la controparte: due agenti dell’FBI arrivano a Deer Meadow, cittadina non così lontana da Twin Peaks, per indagare sul brutale omicidio di una ragazza e ben presto si rendono conto di avere a che fare con elementi sovrannaturali. Uno dei due agenti è Gordon Cole, ovvero David Lynch, ovvero l’autore del serial.
Due realtà riflesse, due mondi separati da un sottile strato di sogno. Danzano al ritmo incostante dello sfarfallio delle lampadine, del gracchiare confuso del rumore bianco che va in onda su una vecchia televisione. Perché Alan Wake e Twin Peaks sono mondi di mezzo, rituali per sbirciare in altre dimensioni. Sono ponti tra realtà, che mescolano quella filmica a quella di superficie, dove David Lynch sogna Monica Bellucci e Sam Lake fa il buffone imitando Max Payne in un talk show fittizio contenuto nel suo stesso videogioco.
Il campione della luce, l’araldo delle tenebre
Nel loro corpus entrambe le storie sono anche racconti ancestrali: il bene contro il male, ma anche il razionale contro l’irrazionale. Il doppio, come ambiguità e come riflesso. Il bosco da una parte, il lago dall’altra; Dale Cooper e Saga Anderson; la signora del ceppo e Cynthia Weaver; i Bookhouse Boys e la Setta dell’albero; il doppelgänger e gli esseri fatti di ombra. In un indimenticabile momento musicale, Alan Wake 2 ci racconta la sua stessa sceneggiatura, ancora una volta uscendo fuori dagli schemi mostrandosi come palcoscenico e retroscena: “mostrami il campione della luce, ti darò l’araldo delle tenebre”, un enigma, una filastrocca, che ci indica come le due figure non possano esistere l’una senza l’altra. I due Alan Wake e i due Dale Cooper sono separati dal riflesso di uno specchio infranto. Sono entità distinte ma uguali.
Come ci racconta Alan all’inizio e alla fine del suo libro (o del suo videogioco), stando ben attento a muoversi nei confini del genere d’appartenenza, nelle storie dell’orrore esistono solo vittime e mostri. Anche Twin Peaks è sempre stata una storia di questo stampo: nella terza stagione, entità che fino a quel momento ci sono sembrate neutrali, si rivelano in realtà due fronti di una guerra eterna tra luce e tenebre. Tra la Loggia Bianca e la Loggia Nera. In una scena iconica, Bob, l’entità malvagia viene inviata sulla Terra come simbolo del male e per contrastarla il Gigante, l’essere che ha aiutato Cooper fino a quel momento, invia nel nostro mondo Laura Palmer.
Laura e Bob sono uno il contraltare dell’altro: una campionessa della luce, un araldo dell’oscurità, sì, ma anche due esseri destinati a fondersi e confondersi, a influenzarsi. A sostituirsi. Così come Alan Wake e Mr.Graffio che lungo l’avventura si sovrascrivono continuamente, cancellando ogni confine identitario.Testimoni dell’irrazionale, due protagonisti che della razionalità fanno il loro lavoro: due agenti dell’FBI, Saga Anderson e Dale Cooper.
In che anno siamo?
Ma spezzare certe catene, riscrivere la propria eredità, significa per definizione mettere in discussione la razionalità. Sia Alan Wake 2 che Twin Peaks 3 sono opere non in continuità con i loro predecessori, anzi. Vogliono fuggire dal rispetto di certi canoni, In modo a volte impietoso per i loro protagonisti e per i loro spettatori\giocatori che dopo tanti anni vorrebbero solo un po’ di pace per gli sfortunati eroi che hanno finito per amare.
Sarebbe impossibile però spezzare questo cerchio, mettere in gabbia gli incubi, in senso metaforico ma anche in senso fisico: David Lynch ce lo mostra nel secondo episodio della serie, quando “Judy”, forse l’entità più distorta e malvagia che esiste nel pantheon delle creature mitologiche di Twin Peaks, fa a pezzi il complesso meccanismo ordito per intrappolarla; ce lo racconta anche Sam Lake in uno dei momenti finali della sua ultima avventura. In entrambe i casi il simbolo che ci resta è lo stesso: una gabbia in frantumi e poi il continuo alternarsi di una battaglia tra bene e male, tra luce e oscuro, tra razionale e irrazionale, che non può mai terminare e che con buona pace della nostra voglia di spiegarci le cose, di avere un punto fermo da cui partire per ricostruire, per cucire, per mettere insieme un numero finito di pezzi, non termina.
E così, anche tirando le fila di queste avventure durate rispettivamente oltre trenta e quindici anni, siamo qui, all’interno di un sogno, di un oceano, di una spirale, di una domanda senza risposta. Di un grido forse disperato, forse di liberazione, come di una grande rivelazione che non riusciremo mai ad afferrare.