Non è decisamente la prima volta che cerco di trattare un’argomento così sensibile come quello della sanità mentale in un articolo dedicato al mondo videoludico. Non vi nego neanche che, per trovare le parole che leggerete di seguito, ho dovuto lasciare fuori tutte le ombre che sono vissute dentro di me per anni. Sedersi e parlare di fronte ad un foglio (anche se virtuale) può risultare all’apparenza facile. Nei fin dei conti, devi soltanto esprimere te stesso… psicanalizzarti… sfogarti! Le idee iniziano a “ballare” ai ritmi dei click, creando vortici che ti sembrano liberatori. Ma per qualche motivo, quelle idee non vengono fuori. Inizi a scrivere ed a cancellare… come se tutto fosse un loop. Come se fossi intrappolato in una gabbia. Come se non avessi speranza.
Vi sembrano concetti o sensazioni famigliari quelle che vi ho appena descritto poco sopra? Se la risposta è positiva, allora i motivi potrebbero essere due: il primo rilegato ad una possibile precaria condizione della vostra salute mentale. Il secondo rilegato al fatto che, avete sperimentato le avventure di Alan Wake, magari finendo in tempi recenti il secondo capitolo… come il sottoscritto. Infatti, è stata proprio la conclusione dell’ultima opera Remedy che mi ha spinto ad elaborare il seguente flusso di idee. Non è sicuramente la prima volta che un gioco mi fa sentire strano di fronte a certi concetto. Non è nemmeno la prima volta che un’opera videoludica (o ingenerale artistica) mi sensibilizza di fronte ad un argomento vicino a me come quello della sanità mentale. So anche che alla fin fine, ogni opera viene interpretata in maniera diversa da soggetto a soggetto, in base alle proprie esperienze di vita.
Quindi, quello che leggerete nei prossimi paragrafi sono solo flussi di idee ed interpretazioni personali sulla trama di Alan Wake 2. Ovviamente, se non avete finito il gioco, il mio caloroso consiglio è di evitare questo articolo e magari, se siete curiosi, tornare in futuro. Non solo così vi farete una vostra idea sul tutto, ma potrete capire anche al meglio la mia visione dell’opera Remedy. Lo so! Già da queste righe il pezzo che seguirà potrebbe sembrarvi molto “egocentrico”. Tuttavia, vi garantisco che non voglio in alcun modo avere ragione sul quello che sto per raccontarvi. Sono solo riflessioni di una persona che ormai ha affrontato per troppo a lungo certe situazioni. Una persona che ha una visione tutta sua di certi messaggi e che cerca soltanto di esprimersi attraverso le parole… esattamente come Alan Wake.
Alan Wake e come cambiare tutto con un Click
Quanto sarebbe facile la nostra vita se, di fronte ad ogni singolo sbaglio, ci fosse la soluzione di cambiare tutto con un click? Essendo creature imperfette, ironicamente rincoriamo sempre il concetto di perfezione, fino a portarci alla follia. Macchiarci con la mediocrità oggigiorno negli occhi freddi della società è diventato letale. Ed ecco quindi che immaginiamo nuovi modi di “salvezza”. Folli sogni in cui, per essere senza macchia, basterebbe scrocchiare le dita e vedere il male sparire. Insomma… esattamente la stessa cosa che succede nella testa di chi soffre di un disturbo psicologico!
Sapete quante volte avrei voluto trovare quel pulsante che avrebbe messo fine a tutto il dolore? Ovviamente, tantissime! La voglia di inseguire quel “dispositivo” in grado di buttarmi fuori da questa gabbia si è sempre amplificata negli anni. Addirittura riuscì a trovarla… per poi capire che era tutto inutile senza i giusti precorsi preparativi. La stessa cosa che sperimentano in AW2 Saga e Alan quando si trovano davanti al famigerato Clicker. Una volta trovato e usato, si rendono conto che il tutto non può essere cancellato con un semplice click. Nessun viaggio pieno di ostacoli non può essere superato usando scorciatoie. Infatti, per usare questo dispositivo… questa uscita… serve intraprendere dei sacrifici. Serve dedicarsi anima e corpo e servono i giusti preparativi.
Ma cosa cerco di dire con tutte queste parole? Semplicemente, per come ho interpretato io il concetto del “clicker”, esso è un parallelismo/metafora all’aiuto psicologico professionista. Un percorso che, per chi ne soffre di determinati disturbi, è potenzialmente l’unica via d’uscita. Ma è un viaggio che non può usare scorciatoie o metodi facili. Ci vuole impegno, i giusti preparativi e una perseveranza di ferro che, spesso, non sarà sempre costante. Come il Clicker di Alan e Saga, l’aiuto professionale psicologico è uno strumento estremamente potente però, senza i giusti meccanismi, esso si rivelerà l’ennesimo strumento che non potrà farvi ritrovare la luce.
Graffiare le pareti fino a quando non troviamo la libertà
Un aspetto determinante nei pazienti affetti dalla depressione (o da sintomi post depressivi) è data da una loro forte “trasformazione” caratteriale. Praticamente, quello che succede nella testa di queste persone gradualmente è un cambio che peggiora giorno dopo giorno l’umore e la qualità generale della sua vita. Insomma, viene ingoiato dalla propria oscurità. Vi sembra famigliare come concetto? Se no, pensate alla presenza oscura di Alan Wake o meglio… pensate a Graffio. Quella entità rende violente e alterate le persone che vengono toccate da essa. Le cambia nei peggio mostri e condiziona tutti a non vedere una via d’uscita dal buio. Però, dentro l’oscurità, di solito il “soggetto” rimane conscio… cosa che lo distrugge ancora di più.
I meccanismi della depressione funzionano nella stessa identica maniera: ci si trova gradualmente sommersi dai sentimenti negativi, fino a cambiare le radici del nostro esserei. Subiamo cambi di umore, diventiamo strani da capire… quasi irriconoscibili. Ma dentro tutta quella bufera, ci sta ancora la stessa persona che tempo fa sembrava libera. Una persona che gratta ogni singola parete per uscire fuori dalla gabbia imposta dalla “presenza oscura”. Una persona che vuole essere liberata dal male… ma che ha solo due vie: combattere ancora più forte di prima, o semplicemente lasciarsi abbandonare all’oscurità fino a sparire.
Avrete capiti da soli che, per me, Graffio (o la Presenza Oscura) di AW2 non è altro che una rappresentazione della depressione… nei suoi stadi più avanzati. Esattamente come il disturbo psicologico elencato, anche questo nemico che tormenta Alan e Saga è una cosa che diventa più potente gradualmente e altera alla base le vite quotidiane dei due personaggi. In qualche modo, ha impatto anche sulla gente vicina a Wake e Anderson, fino a rendere tutta la realtà un incubo difficile da vivere o da accettare.
In certe guerre non puoi combattere da solo
Se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni, quella è che certi mostri non puoi sconfiggerli da solo. Per quanto l’oscurità cercherà di ingannarvi con false realtà e scenari tragici, ci sarà sempre qualcuno pronto a tendervi una mano. Prendete per esempio il rapporto tra Alan e Saga. Un rapporto che a primissimo impatto sembra lontano da qualsiasi punto di incontro, risultando (almeno all’apparenza) come due linee parallele.
Tuttavia, anche certe regole matematiche ci dimostrano che prima o poi anche due segmenti paralleli hanno una possibilità di incontrarsi in un punto infinito. Proprio stando a questa teoria, gli stessi parallelismi del viaggio di Saga e Alan, pur risultando “distanti”, ad un certo punto per forza di cose si incrociano. Ed è proprio qui che si “dimostra” anche la teoria delle battaglie condivise. Di solito, le persone che possono aiutarti in certe battaglie, sono quelle che hanno già affrontato i tuoi stessi demoni (o stanno attualmente affrontando essi). Perchè, alla fine, nessuno ti può capire meglio di qualcuno che sta provando le tue stesse cose.
Lungo il mio viaggio caratterizzato dai disturbi depressivi mi sono ritrovato spesso in uno scenario simile a quello spiegato poco sopra. Di fronte a certe difficoltà la soluzione stava in mano a chi aveva attraversato la stessa tempesta. Gli “alleati” di questa grande guerra combattevano in prima fase per loro… ma una volta che i nostri percorsi si sono intrecciati, la battaglia stava diventando una guerra comune. Insomma, ci si teneva per mano a vicenda fino a trovare una luce… fino ad uscircene dal mondo oscuro… fino a capire che non eravamo soli.
Oltre la spirale…
Ed è proprio quando capisci che non è tutto un loop che inizi a concretizzare quanto sia possibile trovare l’uscita. Anche se per anni ti sei crogiolato nell’oscurità, se ancora oggi combatti è perchè sai che puoi uscirne. La depressione è un ciclo infinito… una sensazione che ogni giorno sembra peggiore ma ironicamente anche “uguale”. Quel loop strano dove ogni cosa cambia ma, nello stesso tempo, sembra identica. Una condizione mentale che a lungo andare diventa routine. Tipo Alan nel mondo oscuro, dove deve rivivere le stesse sequenze all’infinito quasi… e pur avendo “variazioni”, il tutto sembra ancora troppo identico a prima. Ma cosa succede quando Alan capisce che il tutto non è un loop, ma una spirale? Esso inizia a trovare di nuovo una luce… inizia a vedere finalmente l’uscita.
Perchè la differenza sta proprio in questo: un loop è una serie di eventi ciclici dove scegliamo di non cambiare una virgola, pur avendo l’esperienza di farlo. In una spirale il concetto di loop esiste ancora, ma la consapevolezza delle nostre azioni determinano l’andamento generale delle cose. Con questa consapevolezza e queste idee ben impostate nella mente, la voglia di andare avanti si troverà. Certo… è più facile da dire che da farsi. A me stesso ci sono voluti anni per capire questo concetto. Ma la cosa certa è che per ogni Araldo dell’oscurità, ci sarà sempre un Campione della luce!
Quindi, in queste ultime righe vorrei fare un appello a tutti voi… voi che siete ogni giorno divorati da questa presenza oscura. Ricordatevi che non siamo mai soli! La fuori ci sarà gente sempre pronta ad affrontare l’oscurità insieme a voi. Chi per poco… chi per finta… ma anche chi per davvero! Continuate a combattere… il loop prima o poi diventerà una spirale. Siete voi artefici della vostra storia, quindi non smettete mai di scrivere la narrativa della propria vita! Ci si vede dall’altra parte…