La saga di Aliens e il settore videoludico condividono un triste primato: delle tante produzioni dedicate al mondo portato sul grande schermo da Ridley Scott, James Cameron e David Fincher, sono pochissimi i titoli che sono riusciti a convincere pubblico e critica, ma Aliens Dark Descent è qui per rompere – temporaneamente – questa situazione di stallo.
Dalle ottime meccaniche da strategia in tempo reale che si ispirano sommariamente a XCOM, i ragazzi di Tindalos Interactive concentrano le attenzioni sulla realizzazione di atmosfere certosine, estremamente ispirate, capaci di incutere timore, al suono del radar che rileva i movimenti mentre colonial marines si muovono nell’oscurità, torce e fucili puntate verso l’ignoto. Ecco la nostra recensione di Aliens: Dark Descents.
L’urlo di Aliens
Ambientato una ventina di anni dopo gli eventi cinematografici del terzo capitolo cinematografico di Alien, ci troviamo ancora a bordo di navi spaziali ospitanti sinistri piani di sintetici a capo della Weyland-Yutani e questi comprendono lo studio e la cattura degli Xenomorfi da parte della compagnia.
A farne le spese, l’equipaggio di tre navi differenti che si vedranno applicate il Protocollo Cerbero, ovvero a fronte di un pericolo interno delle navi, niente deve uscire da quel luogo, prediligendo una necessaria pioggia di fuoco per annientare tutto e tutti. Nonostante tutto, una nave riesce a salvarsi e qui il personaggio di cui prenderemo i controlli per i primi minuti, Maeko Haynes la vicecomandante della stazione principale, vivrà questa particolare situazione a bordo dell’unica nave che non è riuscita a distruggere, infatti è proprio lei che ha attivato il Protocollo Cerbero, sacrificando centinaia di vite umane, e i colonial marines che l’hanno salvata, non sono a conoscenza di questo piccolo dettaglio.
A conti fatti, un incipit sicuramente interessante per seguirne la diretta evoluzione successiva, mentre per tutto il resto del gioco, prenderemo i comandi di un gruppo di colonial marines mentre si adoperano a richieste di soccorso del pianeta su cui l’astronave rimasta si è momentaneamente fermata per le riparazioni, salvare scienziati e ingegneri così da arruolarli e così via. Il tutto mentre centinaia di uova si sono schiuse proprio nei pressi di una colonia umana, che di umano ormai ha davvero ben poco.
Aliens: Dark Descent è tipo XCOM, ma con gli Alien
La struttura del gioco è di un classico tattico in tempo reale a cui in molte occasioni, beneficeremo di un sistema di rallentamento momentaneo del tempo quando apriremo alcuni menù in riferimento alle abilità dei marines, un tempo breve, piccolo, ma essenziale per scegliere saggiamente la nostra prossima mossa.
Il paragone dunque con XCOM muore nel momento in cui ci troviamo innanzi ad un titolo che non richiede abilità nell’organizzare i turni dei nostri soldati, bensì nell’avere riflessi saldi e pronti nel prendere una decisione concreta nel giro di pochissimi secondi e in tal verso, Aliens Dark Descent si muove benissimo nelle mappe di gioco proposte, alcune che si ripetono, in special modo nei corridoio troppo spesso vittima di pigrizia e di riciclo di asset, ma fidatevi se siamo qui a dirvi che uno dei punti forti di questo titolo è proprio l’incredibile atmosfera che si respira, tra l’ansia e la claustrofobia pura, con annesso un comparto sonoro che aiuta in questa immedesimazione.
Con il radar di movimento fisso in basso a destra e il suo suono che rimpalla nelle orecchie per segnalarci movimenti a pochi metri da noi, le migliori meccaniche le ritroviamo proprio nel modo in cui la telecamera interagisce con le mappe e il mondo di gioco, ma andiamo per gradi, che qui c’è davvero molto da raccontare.
Escono dalle pareti!
Il comparto estetico e di rifinitura dei poligoni appare sin da subito molto datato. Ci sono evidenti limiti, palesi in particolare nelle cutscene, che non rispecchiano la modellazione dei personaggi come punta di diamante del titolo. Gli stessi colonial marines hanno pochissimi pixel per differenziarsi dagli altri compagni e alcune volte è necessario focalizzarsi più sul nome che dei feticci estetici di tal soldato.
Al netto di ciò, le ambientazioni sono assolutamente perfette e l’implementazione di un audio che si adatta alla telecamera è una chicca da far piangere dalla commozione, con annessa gioia nel poter sperimentare un’immersione totale nel gioco. Esempio pratico è la possibilità di aumentare il raggio di visuale del gioco, avvicinando la telecamera, con la visione dall’alto simil Diablo, ai colonial marines. Se questi sono dentro una struttura chiusa, l’audio si concentra esclusivamente sui rumori del luogo, tubi metallici, silenzio oscuro e sinistri suoni di xenomorfi che camminano nella fredda struttura, ma se dovessimo allontanare la visuale, magari inquadrando anche la parte esterna della mappa, sentiremo il vento artificiale del pianeta, esattamente lo stesso presente e udibile in Aliens: Scontro Finale.
Insomma, sotto questo aspetto, l’operazione di immersione è promossa a pieni voti, con un lavoro che perde punti sul fronte estetico, fin troppo grezzo, mal ottimizzato e con poligoni molto vecchi.
Pad o tastiera alla mano, il gioco funziona egregiamente – magari con qualche bug sporadico – restituendo una formula di gioco semplice e diretta, senza troppi fronzoli, con un livello di difficoltà tarato abbastanza verso l’alto, anche se qui, entriamo di punta nel solito discorso di difficoltà ideale e quella effettiva.
Alien letali
Aliens Dark Descent a conti fatti non è un gioco difficile, piuttosto la difficoltà avviene il più delle volta, nella difficoltà di ottenere una strategia adeguata per ogni situazione di gioco.
Le opzioni offensive, come quelle difensive, sono molteplici e capiterà molto poco, in balia delle prime missioni, di mettere in pratica ogni abilità associata al diretto marines. Il nostro scopo è quello di guidarli al compimento della missione, fare attenzione a riportare tutti i soldati vivi e vegeti alla base, magari riuscendo a portare a termine ogni obiettivo.
Quest’ultimi il più delle volte, possono anche essere messi in sospeso, con l’ordine di ritirare tutta la squadra – magari per problemi di risorse o poche munizioni – tramite l’iconico carro APC, il corazzato che si vede anche nel film Aliens. Riorganizzare le truppe, potenziarle o sfruttare l’occasione per avere un’ideale seconda possibilità, sono tutte soluzioni utili allo svolgimento della missione.
Ritorna dunque il discorso sulla difficoltà: il gioco non è difficile, ma richiede la giusta dose di consapevolezza per essere giocato con perizia. Gettare marines in un vicolo stretto, angusto e buio verso un nido di Xenomorfi non è certo la cosa migliore. Meglio dunque organizzare, formazione a triangolo, qualcuno avanti altri dietro, mine, granate, le torrette posizionate in punti strategici e orde di Xenomorfi pronti a esplodere davanti i nostri colpi.
Un titolo dunque consapevole delle proprie limitazioni che punta tantissimo sull’esperienza di gioco, più sensoriale che altro e in qualche verso, questo è un risultato più che soddisfacente.
La recensione in breve
Il solo fatto di avere tra le mani un titolo videoludico estremamente buono e che abbia nel titolo il nome Aliens, è di per se un piccolo miracolo. Il gioco dei ragazzi di Tindalos Interactive sembra essere un'opera consapevole dei propri limiti, ma gioca d'astuzia restituendo un gameplay semplice, ma solido e un'ambientazione che qualunque amante del genere horror o del franchise di Alien in particolare, non può lasciarsi sfuggire.
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Voto GamesEvolution