Era il 1997 quando Square, conosciuta in ambito videoludico come SquareSoft, rilasciava per PlayStation il settimo capitolo del suo Final Fantasy, un titolo destinato a cambiare tutto.
Era invece il 2007 quando Square, divenuta Square Enix nel 2003, pubblicava per PSP il quarto ed ultimo tassello della “Compilation of Final Fantasy VII”, ossia Crisis Core: Final Fantasy VII.
In seguito al remake di Final Fantasy VII del 2020 (e dei pesanti cambiamenti narrativi introdotti da Tetsuya Nomura), alla remaster di Crisis Core del 2022 ed in attesa del sedicesimo capitolo della saga in uscita il 22 giugno, lasciate quindi che vi racconti la mia esperienza con “il prequel originale dell’originale Final Fantasy VII”.
Un salto nel vuoto
Alcuni dei fattori più influenti quando si affronta un’opera, a prescindere dal media di riferimento, sono la predisposizione emotiva ed il contesto organizzativo con il quale ci si approccia ad essa.
Vi è mai capitato di iniziare una serie, un libro, di recuperare un film o di visitare un museo perchè assillati da qualcuno e non per reale interesse? Il risultato più comune, in questi casi, è l’abbandono quasi immediato dell’esperienza in questione.
Al contrario, se ci si avvicina ad una storia in autonomia, l’esito dell’iniziativa non può che essere positivo o, quantomeno, costruttivo. Non c’è da stupirsi che quasi tutti i migliori viaggi hanno origine per caso, ed è proprio per caso che venni in possesso dell’UMD di Crisis Core: Final Fantasy VII, acquistato in un centro commerciale nel 2011, all’età di 13 anni, semplicemente perché intrigato dal nome del gioco e dalla copertina.
Avete capito bene: non solo convinsi i miei genitori a regalarmi Crisis Core senza aver giocato Final Fantasy VII… ma non avevo proprio idea di cosa fosse Final Fantasy in generale.
Ciononostante, in quel periodo passavo intere giornate sulla mia PSP, e non ci misi quindi molto a comprendere la grandezza dell’opera che avevo tra le mani: su quel piccolo hardware stava girando un videogioco caratterizzato da un comparto tecnico incredibile, da un doppiaggio e da musiche dannatamente coinvolgenti e da un combat system a metà strada tra lo scontro a turni e quello in tempo reale (arricchito da un “potenziamento a roulette” che aggiungeva un interessante “fattore imprevedibilità”) tanto divertente quanto complesso. Purtroppo, a causa di una difficoltà medio/alta e di una trama che, chissà perché, trovavo piuttosto incomprensibile, dopo qualche giorno decisi di prendermi una pausa, una pausa che durò ben 2 anni.
Dove eravamo rimasti…
Nel 2013, con maggiore esperienza e conoscenza videoludica e, soprattutto, dotato di maggiore empatia e sensibilità (d’altronde, da questo punto di vista, il periodo adolescenziale è indubbiamente quello più delicato), decisi quindi di ricominciare Crisis Core, che nel frattempo avevo finalmente scoperto essere un prequel.
Ciononostante decisi di continuare imperterrito la mia avventura, consapevole di correre il rischio di non comprendere interi spezzoni di trama e di non cogliere i riferimenti ai rapporti tra molti dei personaggi ed i collegamenti tra il gioco in questione e Final Fantasy VII.
La buona notizia fu che stavolta la difficoltà mi sembrò decisamente più abbordabile e, in un contesto emotivo influenzato dal mio primo fidanzamento e da una vacanza natalizia particolarmente “spirituale”, riuscii a completare il titolo, con una mano impegnata ad asciugare le lacrime e l’altra che tentava di ricucire un cuore lacerato.
Arrivati a questo punto è necessaria una precisazione: nonostante la mia “naiveté”, scoprii in seguito che furono in molti all’epoca a lamentarsi della cripticità di alcuni dialoghi di Crisis Core e della superficialità di determinate scene di intermezzo. Non fraintendetemi: grazie alla mia ingenuità videoludica io riuscii forse ad apprezzare l’opera anche maggiormente, seppur in maniera diversa (immaginate di recuperare la saga di Star Wars in ordine cronologico anziché in ordine di pubblicazione… sicuramente alcuni colpi di scena risulteranno meno sorprendenti, ma sono sicuro che l’esperienza si dimostrerebbe comunque emozionante e, soprattutto, originale), ed è ancora oggi uno dei pochi videogiochi che ho completato al 100% (le quest secondarie, che spesso si limitavano ad essere delle sfide di combattimento, per quanto ripetitive, erano incredibilmente efficaci, grazie ad un gameplay che faceva dell’equilibrio, della complessità e del coinvolgimento i propri punti di forza).
Abbraccia i tuoi sogni
Le origini della Buster Sword, i dialoghi tra Angeal e Genesis, la storia d’amore platonica tra Zack ed Aerith, il primo incontro con Cloud ed il primo scontro con Sephiroth, l’ultima battaglia…
Credo che Crisis Core abbia rappresentato per gli appassionati della saga e, soprattutto, per gli amanti di Final Fantasy VII, un vero e proprio orgasmo videoludico, sia narrativo che di intrattenimento.
In un periodo particolarmente sensibile della mia vita questo titolo è stato in grado di introdurmi ad una saga leggendaria e, in particolare, al capitolo da molti considerato come il più memorabile.
Una volta terminato il viaggio, decisi ovviamente di proseguire con Final Fantasy VII e, nei panni di Cloud (più o meno… nonostante siano passati anni, preferisco evitare spoiler di qualsiasi tipo, dato che il consiglio, nel caso non lo abbiate già fatto, è quello di recuperare entrambe le opere, possibilmente in ordine di pubblicazione, a differenza mia), tutto mi fu finalmente più chiaro. Compresi perché Crisis Core stesso avesse nel titolo il nome del gioco di cui era prequel, e compresi come mai FInal Fantasy VII fosse considerato non solo come uno dei migliori capitoli della saga (nonché il primo in 3D), ma come uno dei migliori videogiochi di sempre.
Se state scalpitando in attesa di Final Fantasy XVI, probabilmente queste righe vi avranno nel migliore dei casi regalato un breve racconto riguardante le emozioni che Crisis Core è riuscito a donare a me e a tanti altri videogiocatori; se invece non siete appassionati della serie o se addirittura, come me all’epoca, ne siete completamente vergini, fatevi un favore e recuperate questi due capolavori.
E se sulle note di “Why” di Ayaka non vi ritroverete a rischiare di annegare tra le vostre lacrime, sappiate che probabilmente il vostro cuore è al 99% composto da pietra.