Sarebbe troppo facile iniziare a parlare di Final Fantasy XV elencando una dopo l’altra tutte le cose che non sono andate per il verso giusto nei quasi dieci anni di sviluppo del titolo di Square Enix, penultimo esponente principale della storica saga nata dalla mente di Hironobu Sakaguchi. Non è un mistero, infatti, che il quindicesimo sia stato un capitolo non apprezzato universalmente, né dal pubblico e né dalla critica, come alcuni tra i suoi predecessori, che ad oggi vengono ancora indicati come i Final Fantasy per antonomasia.
A parere di molti, compreso il sottoscritto, è però stato anche – in parte – un grande incompreso, perché fu il primo della saga principale ad avere il coraggio di divincolarsi dai dettami classici del franchise, soprattutto in termini di struttura ludica, che si apriva all’open world con combattimento in tempo reale: lo ha fatto, certo, commettendo anche degli errori, ma allo stesso tempo tracciando – suo malgrado – la strada da percorrere per il futuro e permettendo di capire quali scelte non fosse opportuno ripetere. A pochi giorni dal lancio del suo diretto successore, dunque, ci sembrava giusto ripercorrerne un po’ le tappe, anche per far sì che sia gli elementi negativi che quelli positivi della sua travagliata storia non vengano dimenticati.
Un po’ di storia
Se negli ultimi quindici anni avete seguito in modo sufficientemente approfondito il mondo dei videogiochi, saprete che la serie ha vissuto momenti non proprio semplici durante il ciclo vitale di PlayStation 3 e Xbox 360, con difficoltà di produzione interne ai vari team che si sono protratte anche per buona parte della generazione successiva. Quello che sarebbe poi diventato Final Fantasy XV venne mostrato per la prima volta nel corso dell’E3 2006, a pochi mesi di distanza dal lancio giapponese di Final Fantasy XII, datato marzo dello stesso anno.
In quell’occasione, in maniera decisamente prematura, Square Enix svelò al mondo il progetto Fabula Nova Crystallis, che avrebbe dovuto delineare il futuro della saga sulle console di nuova generazione, e che era inizialmente composto da Final Fantasy XIII, Final Fantasy Agito XIII e Final Fantasy Versus XIII. Nel periodo seguente, però, la trilogia subì un bel po’ di modifiche e rimaneggiamenti: in concomitanza con l’uscita nei negozi del tredicesimo titolo principale, si decise che quest’ultimo avrebbe avuto due sequel, denominati XIII-2 e Lightning Returns. Agito XIII si trasformò nel più che valido Final Fantasy: Type-0, pubblicato su PSP, mentre fu solo all’E3 del 2013, sette anni dopo il suo reveal iniziale, che Versus XIII passò dall’essere una sorta di spin-off al seguire la numerazione classica e principale, diventando un’avventura a sé stante.
La direzione, in quel periodo, passò inoltre da Tetsuya Nomura (che mantenne il ruolo di character designer) ad Hajime Tabata, già game director di Type-0: quest’ultimo, a capo della Creative Business Unit 2 di Square Enix, ebbe il difficilissimo compito di dare, in poco più di un paio d’anni, una forma finale e ben definita al progetto, permettendogli di uscire nei negozi e senza fallire a livello commerciale. Tabata e i suoi, a posteriori, sono riusciti in un vero e proprio miracolo, visto che Final Fantasy XV ha piazzato 10 milioni di copie (al 2022), risultando uno dei videogiochi più venduti del franchise.
Dieci anni che hanno insegnato tanto a Square Enix
Nonostante il buon successo nelle vendite sia del XIII e seguiti (quelli che sono andati a comporre la Fabula Nova Crystallis che abbiamo visto nei negozi), sia del XV, il decennio trascorso tra il 2006 e il 2016 è stato il periodo più complicato in assoluto per Final Fantasy dal punto di vista creativo. Le difficoltà attraversate nella realizzazione, a posteriori, hanno avuto un impatto sul sedicesimo capitolo, affidato alla Creative Business Unit 3 di Naoki Yoshida, responsabile dello straordinario successo di Final Fantasy XIV, che da oltre una decade resta uno degli MMO più popolari e giocati al mondo.
Oggi, però, come accennavamo all’inizio, non siamo qui per celebrare una sorta di messa funebre, suonando il requiem di Final Fantasy XV prima che il suo successore giunga come una sorta di profetico salvatore della serie. Anche perché, ad essere onesti, negli ultimi anni quest’ultima se l’è passata bene, anzi, benissimo, complice il successo che stanno avendo i remake del settimo capitolo, che potrebbero aprire la strada ad altri rifacimenti in futuro (magari di Final Fantasy 8, del 9 o anche del 10), e qualche discreto spin-off come Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin.
E anche FF XIII e XV, nonostante tutto, sono riusciti ad entrare nell’immaginario collettivo di milioni di appassionati: Lightning e Noctis, per dirne una, rientrano tra i protagonisti più popolari in assoluto, benché per una certa fetta di appassionati di lungo corso essi abbiano una connotazione più negativa, come una sorta di emblema delle difficoltà attraversate dai Final Fantasy. Da qui a definirli capitoli fallimentari, insomma, ce ne vuole: se proprio volessimo trovare un vero fallimento in Square Enix, dovremmo arrivare al 2023 e prendere in esame Forspoken, realizzato con i cocci del team di sviluppo di Final Fantasy XV e per cercare di dare disperatamente un senso al Luminous Engine, motore grafico che è stato una vera e propria croce per l’azienda, e che infatti Yoshi P e i suoi hanno deciso di abbandonare per la sedicesima fantasia finale.
Ciò che vorremmo cercare di farvi capire è che, anche nel periodo più difficile, Final Fantasy ha comunque avuto una popolarità straordinaria, e quella popolarità dipende anche dalle effettive qualità di Final Fantasy XV, che, a posteriori, potremmo definire un capitolo quasi “di transizione”, e che cercava di proiettare la serie verso il futuro (permettendole anche di raccogliere nuovi fan, volontà esplicitata dal gioco stesso) nella maniera migliore possibile. Certo, in alcune cose ha fallito, e fin qui siamo d’accordo, ma… facendo un parallelo calcistico, i rigori li sbaglia chi ha il coraggio di tirarli, no?
Il vero miracolo di Final Fantasy XV: essere all’altezza del nome che porta
Final Fantasy XV è stato segnato in maniera importante dalle difficoltà incontrate durante la sua lavorazione, come qualsiasi videogioco in development hell per anni. Al momento del lancio, infatti, aveva grossi problemi nella narrativa e una struttura ludica che si reggeva perlopiù sullo straordinario comparto artistico (come da prassi per un FF), ma che cadeva in numerose ingenuità, che potremmo definire “peccati di gioventù” per la serie, non abituata ad esplorare simili lidi, senza contare il risicatissimo tempo che Tabata e il suo team hanno avuto a disposizione per completare i lavori, e che li ha obbligati a compiere scelte dolorose, lasciando molte cose a metà.
La Royal Edition, tuttavia, ha in buona parte risolto le problematiche narrative, rendendo più chiari determinati passaggi della storia grazie all’aggiunta di alcuni filmati. Ciò ha reso la parte finale molto meno confusionaria, permettendo alla trama di scorrere più liscia verso i titoli di coda e soprattutto di far meglio comprendere al giocatore quali fossero i suoi reali intenti. Final Fantasy XV, prima ancora di narrare una guerra tra due imperi, fra il bene e il male, luce e oscurità, è un videogioco che abbraccia temi universali come l’amore e l’amicizia, e cerca di farci capire quanto siano preziosi ed importanti. E per buona parte, anche grazie alla straordinaria colonna sonora di Yoko Shimomura, alla fine ci riesce.
Noi crediamo di sapere molto bene perché molti giocatori ce l’abbiano così tanto con lui: perché quelli che alla fine sono i suoi più grandi pregi, sono anche i suoi più grossi rimpianti.
L’universo di Final Fantasy XV, essendo stato concettualizzato per così tanto tempo, aveva infatti (e ha tuttora) potenzialità enormi, che però sono state espresse in quello che, potremmo dire, è il modo più “facile” possibile: puntando tutto sul rapporto che lega Noctis ai suoi tre amici e concentrandosi sulle vicissitudini principali, che poi sono anche il filone più emotivamente toccante, ma al contempo rinunciando ad approfondire eccessivamente e in maniera chiara tutto il resto, che viene invece relegato a frasi dette a metà e supposizioni indirette.
Se è probabile che ricordiate con affetto la trama in sé e per sé (soprattutto se avete giocato alla Royal Edition), è altrettanto probabile che abbiate odiato il fatto che la lore di quell’universo sia stata integrata in maniera così goffa nelle vicende esplicite, rimanendo una sorta di – bellissimo – sottofondo a una storia che per il resto, ben conscia di quanto ciò sia un problema, punta molto sull’entrare in connessione emotiva con il giocatore, senza risultare troppo cervellotica per chi non vuole perdere ore nel codex.
Una trama fondata su concetti universali
Laddove il compito del gioco può dirsi riuscito, infatti, è nel riuscire a trovare una propria identità, cosa che all’inizio dello sviluppo sembrava impossibile. Anche viste le marcate differenze che lo separano dal 16 (un Final Fantasy molto più crudo e oscuro), si può dire che Final Fantasy XV il suo spazio se lo sia ritagliato: per certi versi, è il capitolo più disneyano di sempre, eredità lasciata da Nomura e che la versione uscita nei negozi non ha fatto nulla per scrollarsi di dosso, anzi, l’ha incoraggiata e vi ha puntato con forza lungo tutto il corso della trama, narrata come una grande fiaba.
La narrativa, dopo l’uscita, è stata ulteriormente arricchita dai quattro DLC, incentrati su Gladio, Prompto, Ignis e Ardyn, che forniscono nuovi punti di vista sulla vicenda e permettono di approfondire storie e motivazioni di ognuno dei tre amici di Noctis, del perché siano così legati al giovane principe di Lucis, e del cancelliere di Niflheim, personaggio estremamente complesso e sfaccettato, nonché sua vera nemesi. Considerando queste quattro aggiunte come un “pacchetto unico” insieme al gioco base, la trama principale assume una forma decisamente più coerente a 360 gradi, visto che ogni episodio extra va a riempire un buco tra determinati momenti, e diventa più chiara e concreta.
I contenuti scaricabili, in realtà, dovevano essere cinque, ma quello dedicato ad Aranea Highwind è stato purtroppo cancellato: quest’ultima, a meno che non venga ripresa in qualche modo in uno dei futuri giochi della serie, resterà (suo malgrado, visto che è una dei personaggi più interessanti) una dei suoi “incompiuti” più grandi, a dimostrazione che, anche dopo tutte le aggiunte, il quindicesimo capitolo non ha mai perso un certo retrogusto agrodolce, non riuscendo a mettere la parola fine a tutte le sue sottotrame.
A ciò ha in parte sopperito la sua espansione trans-mediale, grazie per esempio a Kingsglaive, un film d’animazione più che valido e capace a sua volta di integrarsi molto bene in quell’universo: oltre a narrare una storia tangente, però, la pellicola si sofferma anche su molti dettagli di contesto relativi al regno di Lucis e alla lotta politica con Niflheim che il titolo stesso non ha il tempo per raccontare, il che può anche essere visto come un segno di incompiutezza a livello narrativo.
Dewdrops at dawn
L’eredità di Final Fantasy XV, ad oggi, è molto chiara, e ben esplicitata dagli intenti del suo successore, che, se da un lato ha cercato di distaccarsene parecchio e dare una sua interpretazione di ciò che significa essere un Final Fantasy, dall’altro ne ha implicitamente sottolineato l’unicità. Nel bene e nel male, infatti, con ogni probabilità la storia ambientata nel mondo di Eos resterà l’unica – per un bel po’ di tempo, almeno, poi tra qualche anno chissà – ad aver spalancato le porte ad elementi nuovi e inediti e a provare ad osare in tutto e per tutto, con un’ambizione anche eccessiva rispetto a quelle che erano le possibilità iniziali.
Da un certo punto di vista, Final Fantasy XV si potrebbe definire il più barocco dei Final Fantasy, e non solo perché molti degli scenari e delle atmosfere ricordano quello stile, ma anche perché, proprio come il ben noto movimento artistico e architettonico seicentesco, inizialmente disprezzato per la goffaggine e le storture delle sue forme rispetto a quelle più armoniose dei secoli precedenti, anche l’opera di Square Enix è riuscita a posteriori a trovare la sua redenzione. Dipingendo, nonostante tutte le sue incongruenze, un mondo bellissimo e credibile, condito da un racconto struggente e da uno dei migliori finali che la storia dei videogiochi ricordi, con Noctis e Luna che si ritrovano in una sorta di paradiso e possono finalmente sposarsi, per poi cadere in un sonno eterno e indistinguibile dalla morte, componendo il logo del gioco.
La conclusione di Final Fantasy XV è di fatto la perfetta incarnazione di quelli che sono i suoi intenti più profondi: mettere un punto finale alla saga dei cristalli, che era diventata una vera e propria ossessione per Square Enix, e ringraziare al contempo il giocatore – rompendo anche la quarta parete – per esserci stato fino alla fine. Come a dire “ce l’abbiamo fatta”, e questa è la miglior conclusione per il nostro viaggio che potessimo aspettarci e regalarvi. Nonostante tutto, nonostante le cose non dette, nonostante quell’universo non avrà mai la possibilità di esprimere appieno tutto il suo immenso potenziale.